«Per te il silenzio è lode, Dio»

«Giovanni Paolo II era un grande comunicatore, ma penso che lo fosse ancora di più Giovanni XXIII. Basti pensare al discorso della luna. M’interessa sapere che cosa stesse a lui maggiormente a cuore. Che cosa ha voluto dire al mondo soprattutto con il Concilio Vaticano II? Che cosa ha maggiormente influito sulla sua preparazione? Come ha fatto a diventare un uomo così santo e così illuminato da aprire orizzonti impensati alla Chiesa e al mondo?».

Quando Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto vescovo, scelse come motto “Ubbidienza e pace”. Qui sta il segreto della sua grandezza: è stato in ascolto di Dio, della Chiesa e degli uomini. Si è messo umilmente alla scuola del silenzio. Ha sempre ubbidito, accettando di ricoprire quei posti che altri rifiutavano. Suoi intenti: fare la volontà del Signore, avere pace nel suo cuore, portare la pace nel mondo.

Ed è stata la Provvidenza a plasmarlo nella povertà, ad arricchirlo nella preghiera, a fortificarlo nell’obbedienza a una Chiesa che ha sempre amato, anche quando per essa – e a causa di essa – doveva portare una pesante croce.

Il segreto della sua arte di comunicare? Il silenzio.

Quando Dio volle purificare il profeta Elia dalla sua presunzione di salvare la fede ebraica ammazzando i 400 profeti di Baal, lo chiamò nel deserto e lo mise di fronte al suo sconcertante silenzio. “Dio disse ad Elia: «Va’ fuori e fermati sul monte, davanti al Signore». E il Signore passò. Un vento forte, impetuoso, schiantava i monti e spezzava le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. E, dopo il vento, un terremoto; ma il Signore non era nel terremoto. E, dopo il terremoto, un fuoco; ma il Signore non era nel fuoco. E, dopo il fuoco, un mormorio di vento leggero” (1Re 19,11-12).
Quel “mormorio di vento leggero” in ebraico andrebbe tradotto con l’espressione: “sconcertante silenzio”. Alla scuola del silenzio si apprende l’arte del comunicare che non si basa tanto sulle parole, quanto sulla capacità di ascoltare quello che il Signore vuole dirci, di confrontarsi con la Parola, di contemplare l’universo, di sentire quello che i fratelli pensano e di entrare in noi stessi, per percepire le mozioni dello Spirito Santo in noi.

Roncalli, abbandonandosi completamente al Signore, ha fatto sue le parole del Salmo: «Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre». E la preghiera l’ha aiutato a restare bambino, a meravigliarsi continuamente di tutti e di tutto, a non pretendere di voler guidare la Chiesa, ma ad ascoltare quello che lo Spirito Santo voleva dire a essa.

Non solo non si vantava di essere qualcuno, ma era cosciente della sua pochezza, del suo limite, dei suoi peccati (più si procede nella santità, più sembra assurdamente grande il proprio peccato). Torniamo ancora al discorso “della luna”: «La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore … Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell’incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in difficoltà».

In tre righe c’è l’essenza del cristianesimo e la sapienza di tutte le culture. Di fronte a chi ha il culto della personalità, si ritiene indispensabile all’umanità e non molla per nessun motivo il suo posto di responsabilità e di comando, ecco un santo che dice: «La mia persona non conta niente». Non vuole chiamarsi “padre” – perché, come Cristo ha detto, «uno solo è il Padre vostro che sta nei cieli» –, né “Maestro”… Si reputa solo un fratello a cui stanno a cuore gli altri fratelli, ai quali propone un metodo: “Cercare quello che unisce”. E uno scopo: la pace.

Sulla cattedra di Pietro, con milioni e milioni di occhi rivolti a lui, il Papa ripeteva con il Salmista: «Non mi tengo occupato con cose troppo grandi o troppo meravigliose per me». Non si preoccupava di salvare il mondo, perché la salvezza viene solo dal Signore. L’uomo di fede cerca solo il silenzio per pregare. La preoccupazione non cambia il mondo. Lo cambia la silenziosa preghiera grazie alla quale l’uomo di fede si affida tutto al Signore, appunto perché si ritiene un semplice strumento nelle sue mani.

Penso sia significativo questo fatto: mentre Giovanni XXIII era portato a spalle sulla sedia gestatoria, in piazza San Pietro, mentre tutti lo applaudivano, egli pregava. Si nota in un filmato che sta muovendo le labbra in preghiera. Non era interessato alla effimera gloria del mondo: ricordava piuttosto il momento in cui suo papà lo aveva portato sulle spalle, da bambino, a una festa paesana, per permettergli di vedere la statua del santo e di guardare a chi suonava la banda… Le spalle del papà furono la sua prima sedia gestatoria. E non c’è dubbio che tra le due “sedie gestatorie”, la prima – cioè le spalle del papà – fosse molto più comoda e piacevole di quella portata dalla nobiltà romana, in piazza San Pietro.

In Bulgaria, in Turchia, a Parigi… che vita fa un nunzio apostolico? La vita di un monaco e di un mistico: o ama la preghiera, o c’è da impazzire. A Venezia, per quattro anni ha fatto il pastore, con l’intento di ascoltare tutti e di valorizzare gli ultimi: caso emblematico, la richiesta fatta a un prete che aveva lasciato il ministero di ascoltare la sua confessione, in ginocchio davanti a un ubriacone …
E in Vaticano? Chi non ha mai sentito parlare della “solitudine istituzionale”? Solitudine redenta solo se si fa della preghiera il proprio respiro e del silenzio il proprio habitat. E in questo silenzio, eccolo passeggiare nei giardini vaticani con la corona del rosario in mano o con il breviario, salmodiando: «A te si addice la lode, o Dio». Salmo (65) che andrebbe meglio tradotto: «Il silenzio è lode a te, Dio».

Ciò che Giovanni XXIII da detto al mondo, più che con parole, lo ha detto con la sua persona. È utile e bello conoscere sempre più questo uomo, leggere il suo “Diario dell’anima” e studiare i decreti conciliari. Uno di questi, nel prologo – indirettamente – ci parla del segreto del successo del Beato Giovanni XXIII. Si tratta della Costituzione dogmatica “Dei Verbum”: “In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di San Giovanni: «Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1,2-3). Perciò seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami” .

«In religioso ascolto». È l’ascolto di chi ha lo sguardo fisso alle realtà eterne e impara l’arte del comunicare facendo silenzio, pregando tanto, ascoltando con il cuore, come professano i fratelli ebrei nella preghiera “Shemà, Israel”: «Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno».

Valentino