Per fare della vita una preghiera

«“Ma tu preghi?”. Quante volte hai posto a me e a tanti altri questa domanda semplice e sconcertante allo stesso tempo! Ed io ho risposto spesso – come fanno i gesuiti – con un’altra domanda: “Ma che cosa vuol dire pregare?”. Al mattino e alla sera recito le preghiere e ciò mi è facile, dato che i miei figli sono piccoli e sembra si divertano a parlare con Gesù. Ogni tanto vado anche a messa. Ma sono lungi dall’osservare il proposito che mi avevi suggerito di pregare sempre, senza interruzione, sentendo Dio presente ovunque. Ti ho comunque obbedito, e con profitto, nel pregare con il tuo libro sul Vangelo (“Uno di noi è Dio”), una pagina al giorno. Siccome è un po’ che non ti vedo, mi permetto di chiederti se anche adesso continui a pregare e come».

“I racconti di un pellegrino russo” è uno stupendo libro che spiega la frase di San Paolo: «Bisogna pregare sempre» e indica gli innumerevoli vantaggi di chi fa della sua vita una continua preghiera. Quel pellegrino respirava Dio incessantemente, ripetendo: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me». Se non ricordo male, quando incontrava qualcuno modificava la formula: «Abbi pietà di noi».

Pregare: vedere Dio incontrando il prossimo, albergando nello sguardo di tutti. Certo, è difficile fare ciò in Giappone dove il rispetto esige di non guardare negli occhi le persone. Ma in questi giorni, in Bangladesh prima e ora in Etiopia, prego contemplando Dio nello sguardo dei fratelli.

A Dhaka (capitale del Bangladesh), in un fazzoletto di terra, circolano quindici milioni di persone. Molte non rispondono al saluto, ma abbozzano un rispettoso sorriso. Qualcuno risponde congiungendo le mani in preghiera. Altri, riconoscendomi uomo di Dio, chiedono la benedizione. Gli induisti mi abbracciano dicendo: «Namashté», fusione dell’umano e del divino… E tutto converto in preghiera.

Qui, in Etiopia, l’incontro con uno sguardo è subito sigillato con un bellissimo sorriso e con un immediato rapporto: «Quanto ti piace Addis Abeba (o Hawasa)? Non è la città più bella del mondo? Non è, la nostra razza, la più bella della terra?». E se ne vanno orgogliosi sotto i loro veli bianchi, incedendo dignitosamente, come se tutte le donne fossero “la regina di Saba” e gli uomini “re Salomone”. E i cristiani mi supplicano: «Abba, benedicimi», mentre mi baciano la mano e vi appoggiano dolcemente la fronte. Così, in questa situazione, il mio pregare consiste nell’albergare nel loro sguardo e chiedere a Dio che il loro sorriso non si spenga.

Sì – meglio che niente –, pregare è anche “recitare” le preghiere. Sarebbe consigliabile scandirle piano, in forma meditativa, come se fossero dei mantra che aiutano a svuotarci di noi stessi per concentrarci in Dio. In questo senso il rosario, recitato bene e riflettendo sui misteri enunciati, sortisce un ottimo effetto. A ogni decina, o ad ogni “Ave Maria” si può fare il nome di una persona cara dopo aver detto al Signore: «Io non so ciò di cui hanno bisogno i miei amici, ma davanti a te pronuncio il loro nome: pensaci tu. Da’ loro la fede, tutto il resto sarà dato loro in aggiunta».

Da un po’ di tempo, per me pregare è scrivere libri in commento alla Bibbia. Ciò mi obbliga a studiare la Parola di Dio e a meditare sul possibile significato dei vari testi e sulla applicabilità alle situazioni odierne. E dopo aver fatto della Parola una preghiera personale – carico di idee, emozioni e intuizioni sapienziali – mi ritiro a scrivere ininterrottamente, rendendo questa attività un’esplicita preghiera. Ciò mi spinge a essere essenziale, concentrato sulla Parola di Dio e a fare di tutto perché i possibili lettori traggano, dai miei scritti, motivi per amare di più il Signore e pregarlo sempre meglio.

Con queste convinzioni propongo la preghiera come:

- mandare e ricevere onde d’amore;

- trasfigurare questo mio corpo, rendendolo bello grazie al contatto con il divino;

- rafforzare la mia vocazione a diventare un’unica realtà in Cristo e a portare frutti d’amore per la vita del mondo;

- rendere fecondo e casto il mio amore celibatario;

- ridimensionare tanti problemi che, visti alla luce dell’Infinito, si dissolvono come nebbia ai raggi del sole;

- sperimentare che “un giorno trascorso nella casa del Signore vale più di mille passati nelle tende dei peccatori”;

- prendere coscienza che tutto è vano, eccetto l’amare e l’essere amato;

- trovare un senso al nascere, una gioia nel privilegio di continuare a vivere e una sana curiosità anche nel morire… per andare a vedere il volto del Signore.

Otto possibili definizioni di preghiera così riassumibili: la familiarità con il Signore ci trasfigura, ci immedesima in Cristo, ci fa diventare Dio.

Valentino