Terra Santa: santuario a cielo aperto

«Tu parli bene della Terra Santa, ma non la chiami col nome di Israele e di Palestina: terra di tante contraddizioni, con popolazioni che non vanno d’accordo, cristiani inclusi. Dal Vecchio Testamento nulla è cambiato, anzi, forse, la situazione è peggiorata. Tu dici che bisogna mettersi sulle orme di Gesù e rivivere i sacramenti dove Lui li ha istituiti. Ma cosa cambia a pregare in un santuario o nella mia parrocchia in confronto con il pregare nella Terra Santa?».

Il fascino della Terra Santa consiste nel fatto di essere un santuario a cielo aperto. È una terra in cui, al di là dei peccati antichi e nuovi dei suoi abitanti, delle tensioni tra le tre religioni monoteiste (ebraica, cristiana e musulmana) e delle dolorose divisioni dei cristiani, si respira l’antica benedizione che Dio ha dato al suo popolo.
Un po’ di anni fa, un frate francescano mi aveva permesso di trascorrere una notte nell’orto del Getzemani. C’era un forte vento, fenomeno comune nella città santa. Vento che è fonte di refrigerio durante la calura del giorno ed è sconvolgente messaggio durante la notte. Quel vento, forse, aveva indotto Cristo a istruire Nicodemo: «Il vento soffia dove vuole. Tu ne odi la voce e non sai da dove venga o dove vada…».
Il vento del Getzemani, quella notte, portava a me la voce dei patriarchi, dei profeti, dei giusti che attendevano il Messia. Era un fenomeno gravido di mistero. Il divino era palpabile. Mi sembrava, quasi, di percepire il fruscio delle ali dello Spirito Santo.
La stessa sensazione avevo percepito più volte, in giovinezza, a Taizé, là dove migliaia e migliaia di giovani venivano a pregare e impregnavano l’aria di una ineffabile Presenza.
Se questo fenomeno è percepibile nelle nostre chiese, nei nostri santuari, a maggior ragione si può sperimentare in quella terra che Dio Padre ha benedetto, Dio Figlio ha scelto come sua dimora e Dio Spirito Santo preserva per il momento in cui i nostri fratelli maggiori, gli Ebrei, “risponderanno alla benedizione data ad Abramo e alla sua discendenza. Allora – afferma San Paolo – avverrà una ‘palingenesi’, una nuova creazione”.
Nell’attesa di quel giorno e per anticiparlo, noi, credenti in Cristo, ci facciamo “ribattezzare” nelle limacciose acque del Giordano. Andiamo a rileggere il brano della tempesta sedata sul lago di Tiberiade. Domandiamo a Dio, sul monte Tabor, che la preghiera ci trasfiguri, risvegliando la bellezza assopita nel nostro spirito. Riceviamo il sacramento dell’Unzione degli infermi sulle rovine della piscina probatica, là dove Gesù guarì quel paralitico ammalato da trentotto anni (trentotto: numero simbolico che indica il ripiegamento su se stessi). Rinnoviamo i voti matrimoniali a Cana. Il tutto aiutati da un piccolo gruppo di amici che sappia fare silenzio, pregare e condividere quei suggerimenti che lo Spirito Santo non lascia mancare a chi lo invoca con un cuore sincero.
È comunque vero che, per incontrare Dio, non è necessario andare in Terra Santa. Ovunque si trova il Signore: nel convento di clausura, nel deserto, sul posto di lavoro, in discoteca e al mercato… Ovunque va cercato (ed è un privilegio da non negare a noi stessi): nella nostra parrocchia, nella nostra famiglia, nel nostro spirito. Qui il Signore ci chiama e ci aspetta, pronto sempre a perdonarci e a ricrearci uomini nuovi, a trasformare il nostro corpo in un santuario vivente, discreta e potente dimora della Santissima Trinità. Valentino Salvoldi

Vaentino