Solo l'infinito ci può bastare

«Ho ventisette anni e mi sento più vecchio di un nonno di settantadue. Mi tiene in piedi la paura. Cerco amici che, benché demenziali, sono meglio del nulla che mi spaventa. Una sera passeggiavo con te. Ero contentissimo di starti accanto e mi sentivo un privilegiato fino a che ho visto i miei cosiddetti amici… Mi hanno parecchio disturbato dentro, al punto che facevo fatica a seguirti, come te ne sei bene accorto, senza che io te lo dicessi. Quando poi sono con loro, è tutto un chiasso, un parlare in contemporanea, cercando di strappare l’attenzione di qualcuno. Che cosa ci ha ridotto così? Che cosa hai da suggerirci per evitare di buttare via la nostra vita?».

Giovani pragmatici. Giovani catturati dal presente. Giovani che vivono in contesti di vita non formativi e non stimolanti – anzi, ostili – dai quali cercano di scappare, rifugiandosi in un mondo fatto di schiamazzi, di esibizione e di pura apparenza. Questo un possibile identikit della presente generazione di giovani.

Alcuni cercano di realizzarsi vivendo la dimensione locale, spendendosi in piccole cose concrete: lodevole l’impegno, ma presto risulta perdente la mancanza di un respiro più ampio. Il “piccolo” rischia di soffocare.

Altri, disorientati, nutrono un velato odio verso gli adulti dai quali sono stati delusi, per cui si estraniano da tutti e da tutto, a eccezione del gruppetto di “eletti”. Certo, anche gli amici deludono, ma non ci si può permettere il lusso di criticarli o di lasciarli, altrimenti si cade nel baratro del nulla.

Poi ci sono coloro che imitano gli adulti, pur non accettando in pieno il loro atteggiamento e finiscono per ripetere gli stessi errori.

Non sto criticando i giovani: chi non li vede vittime di una società fluida, senza grandi valori e turlupinata dal consumismo? Chi non si rende conto che i problemi dei giovani sono causati dal fatto che gli anziani non rispettano più il loro ruolo, non giocano più la loro parte di anziani? Accudire i nipotini è sufficiente a sentirsi nonni, se a loro non si insegna tutta una gamma di valori umani e divini, senza i quali il vivere perde di significato, di mordente, di bellezza?

Nel pragmatismo tipico di questa generazione, i giovani vogliono sperimentare tutto e al più presto possibile. A loro non interessa il passato: non lo conoscono nemmeno. Il futuro li spaventa. Perciò, altro non resta che il presente, con i suoi problemi che vanno risolti immediatamente, giorno dopo giorno, senza interrogativi, senza angosce e senza remore di carattere etico o morale. Tanto essi sanno di non contare in una società in cui governano i vecchi. Essi, i giovani, servono solo se consumano… Perciò, figli di una società tecnocratica e virtuale, impostano la loro vita sul “navigare a vista” (vivere come capita, in base alla situazione del momento) e su rapporti effimeri. Virtuali, appunto.
Richiesto di dare suggerimenti, rispondo riassumendo in una parola quanto recentemente ho scritto riguardo all’amico Nur, convertito al cristianesimo e sabato scorso ordinato prete: radicalità. E concentro il tutto nella frase: «Solo l’infinito ci può bastare».

Mi reco a Domodossola – dove ora abita la famiglia di Nur – per preparare i parrocchiani a un evento tanto raro per il Piemonte. In chiesa sento che i devoti insistono nelle loro preghiere, perché il Signore conceda tante vocazioni al presbiterato. Prendo lo spunto da questo fatto per incentrare l’omelia su un motto: «Non tanti, ma santi». Tanti preti mediocri peggiorano il mondo, mentre pochi preti santi lo rivoluzionano.

Per tre giorni chiedo preghiere per il clero in genere e per me, perché può essere relativamente facile santificarsi da giovani, mentre l’invecchiare porta con sé il peso del venire meno delle forze, e lo spirito del male s’insinua nella nostra vita, mette in discussione il nostro credo e acuisce la tentazione di aver seminato invano, dato che non si vedono i frutti della passata seminagione. D’altro canto, comunque, il venire meno delle forze può essere uno stimolo ad abbandonarsi completamente a Dio. Prego perché sia così, per me e per i fratelli.

La mattina dell’ordinazione sono più emozionato di Nur. Lui sembra impassibile, chiuso nel suo mondo, ma con occhi belli: come se stesse contemplando il Mistero, come se vedesse l’Invisibile. Io non faccio altro che piangere. Eppure, specialmente in Africa, ho imposto tante volte le mani sul capo dei miei studenti nel rito della consacrazione presbiterale. Ma quelli erano credenti che accedevano al presbiterato. Nur, invece, era musulmano quando venne ai campi-scuola e la comunità dei partecipanti un po’ alla volta l’ha portato al battesimo. Poi, di noi si è servito il Signore per fargli intuire che solo Lui poteva bastare a riempire la sua vita.

Ricordo che una volta, a un campo-scuola, Nur si era inginocchiato davanti all’altare e io gli avevo imposto le mani, implorando su di lui l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo. Parimenti avevano fatto altri amici, mentre ripetevano, instancabilmente, come un mantra: «Veni Sancte Spiritus».

Terminata la preghiera, Nur accostò mia madre e la abbracciò teneramente, chiamandola “mamma”. E mia madre pianse di commozione e ricordò a lungo quell’abbraccio.

Il giorno della prima messa solenne di Nur, a Domodossola, è una nuova immersione nella Bellezza che salva. Durante la concelebrazione mi sento padre e lodo Dio che si serve di vasi di creta per compiere meraviglie: l’acqua sul capo ci rende Cristo; la mano che si alza benedicente dando il perdono dei peccati è una nuova creazione, più grande del Big Bang; le mani imposte sul capo di un battezzato lo rendono presbitero; le mani che si stendono sul pane e sul vino, mentre s’invoca lo Spirito Santo, trasformano due elementi materiali nel corpo e sangue del Salvatore… Basterebbe una messa per morire di crepacuore!

E quando Nur conclude la messa, come unico fatto biblico cita un episodio che costituiva il punto forte dei campi-scuola: quando Davide e Gionata s’incontravano, prima di abbracciarsi si inginocchiavano, perché Dio era in mezzo a loro.

Dio in mezzo a noi. Dio che ci tiene sulla palma della sua mano. Dio che ci solleva su ali d’aquila… Davanti a questo Dio, Nur non esita a ripetere le parole di Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura!». E lo dice con un volto così raggiante da non esigere dimostrazioni.

L’avessero visto quei giovani che passano le notti schiamazzando per soffocare la loro paura! Avrebbero avuto la conferma che la radicalità della scelta è appagante al massimo, che è frustrante cercare di abbeverarsi a cisterne screpolate contenenti acqua marcia e che il nostro bisogno di felicità trova una risposta in Dio, perché solo l’Infinito ci può bastare.

Valentino