L'uomo, non il matrimonio è in crisi

Alcuni amici trentenni, un tempo animatori dei miei campi scuola, accettano l’invito a cena, alla quale sarebbe poi seguita la celebrazione eucaristica. Convinti che Dio è in mezzo a noi, iniziamo l’incontro con una preghiera spontanea, seguita dal “Padre nostro”. Tutto concentrato, – per sbaglio, ma provvidenzialmente? – un amico fa una variante alla preghiera di Gesù: “… perdona a noi i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri genitori”. Alla risata generale segue la discussione sulla famiglia, con le seguenti problematiche:
“Troppe le coppie che divorziano o si separano. Il matrimonio è in crisi. Come si fa a non averne paura?”;
“In famiglia i nostri genitori ci hanno dato tutto tranne che l’essenziale”;
“I litigi nella copia sono esasperanti, non c’è più rispetto per la persona”;
“I rapporti non sono basati sulla sincerità e quando la verità viene a galla, salta la relazione”;
“Che diritto ha una persona di entrare nel mio mondo, nel mio io, ignoto a me stesso?”.

Chi volesse approfondire il tema del matrimonio, in particolare come siamo arrivati all’attuale situazione, può legger un bell’articolo di Marco Guzzi: “ Matrimonio opera d’arte”. Idea di fondo : il matrimonio deve essere visto come un percorso, una costruzione, una partecipazione. L’attuale crisi può diventare una opportunità di purificazione e stimolo ad essere seri nella formazione integrale della persona: “ La cristiana e il cristiano, e ancora più radicalmente ogni uomo e ogni donna del nostro tempo deve imparare già da giovane a parlare di sé, a confrontarsi con le proprie emozioni reali, a non nascondere o rimuovere le proprie paure e le proprie vergogne, ad interpretare la propria storia familiare, le ferite ricevute, e così via. Solo così potrà in seguito, nell’ambito della relazione coniugale, proseguire in coppia questo cammino di autoconoscimento e di guarigione”.

Sarebbe eccessiva la presunzione di risolvere problemi tanto grandi durante una discussione conviviale, e ancora peggiore la presunzione di poter dire qualche cosa di sistematico e di esauriente in un articolo che non superi le settanta righe. Possiamo limitarci ad accennare qualche idea, nell’attesa che altri amici reagiscano portando le loro intuizioni.

Innanzitutto, anziché parlare di crisi dell’istituto matrimoniale, dovremmo parlare di crisi dell’uomo, crisi antropologica . Se una persona è immatura, se arriva al matrimonio senza conoscere se stessa e senza amarsi ( e l’amore per se stessi è misurato dalla capacità di pensare, cercare, farsi aiutare, studiare e coltivare la fede in sé, negli altri e soprattutto in Dio) stando accanto ad un’altra persona altrettanto immatura (perché se lo fosse non si metterebbe con uno sprovveduto) chiaramente pone le premesse perché il matrimonio non funzioni.

Così mi scrive un amico: “Il concetto di famiglia come organo vivente non può essere messo in discussione perché la realtà ha testimoniato e provato che può esistere e funzionare. Ovvero uomo e donna, donna e uomo, possono unirsi in un nucleo che vive ed è stabile e genera altra vita (mentre ad esempio uomo, cavallo e formica non hanno mai generato alcunché e mai lo faranno)! Quindi, se uomo e donna non riescono più ad unirsi, è perché i singoli uomo e donna non sono “sani”. In poche parole, ciò di cui sono convinto è che non è il principio o il concetto di famiglia da mettere in discussione, ma il concetto di ‘uomo’”.
Se manca “l’uomo”, non ci sarà il santo, cioè colui che è cosciente della sua natura, sublime e fragile allo stesso tempo, per cui si fa aiutare nella crescita intellettuale, morale e spirituale. Se manca “l’uomo”, che cosa si può cercare nel partner? Un rapporto sessuale umano esige conoscenza di sé e dell’altra persona amata, ma senza un valido fondamento umano, la relazione si riduce a squallido erotismo mal vissuto, che spinge ad usare il partner come fonte di gratificazione immediata, di innumerevoli frustrazioni, di degradanti scappatelle e di devastanti adulteri : “E per il resto, per tutto l’eros inutilizzato, ci sono i bordelli, i tradimenti, le donne angelicate, gli amori impossibili, l’omosessualità, e il gusto sottilmente erotico dei pettegolezzi di paese…” ( Marco Guzzi).
“Eros inutilizzato”, perché vissuto male, poiché non visto come stupenda fonte di attrazione e enorme potenzialità ad aspirare a cose grandi, quando “l’eros è redento”, cioè imbevuto da quello Spirito che fa dire a Benedetto XVI: “Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità.”
Se una persona non si rende conto che noi abbiamo tutto in noi stessi per vivere, pensare, crescere, adorare e amare e, conseguentemente, si aggrappa ad una persona aspettandosi troppo, a volte, tutto da lei, cerca la sua rovina, va incontro ad indicibili delusioni, fa il proprio e l’altrui male. La Bibbia spesso parla della necessità di non confidare nelle forze umane e non aspettarsi troppo dai propri simili. Arriva addirittura a dire: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo”. E San Paolo: “Tu che sei sposato, vivi come se non lo fossi”, intendendo dire che prima del proprio partner c’è Dio e la vita stessa.
Se oltre all’uomo, manca la comunità, i due fidanzatini che si isolano, perdono le antiche amicizie e non vivono più il legame con la famiglia estesa si condannano ad essere figli di nessuno. E quando arriva la crisi, sono dei perfetti estranei alla comunità parentale, per non dire della comunità d’origine che a volte può interferire negativamente, ma spesso segnala – sia pure con metodi discutibili – quello che non va all’interno di un rapporto di coppia in cui non sono rispettate le norme del vivere comune. Non è rispettato quel pudore che è l’arte di riservare il proprio corpo alla persona amata. Non è rispettato il concetto che “nessun uomo è un’isola”, che “io sono perché noi siamo” e che “sono un essere umano e tutto ciò che c’è di umano mi appartiene”.
Se poi all’uomo e alla comunità viene a mancare l’amicizia, si cade nella penosa situazione in cui una persona si isola per un po’ di anni con il partner, rompe i rapporti con gli amici della gioventù e quando, in crisi, cerca aiuto dall’amico, questi non lo riconosce più. Fa un’enorme fatica ad ascoltarlo. Gli dà addirittura fastidio. Perché l’ amicizia va coltivata e rafforzata dalla presa di coscienza che è uno stupendo dono del Signore, indispensabile propedeutica del rapporto di coppia, sacramento di un amore che, quanto più è umano, tanto più è divino.
Emblema di questo amore è il rapporto del re Davide con il figlio di Saul, Gionata. Stupendo il patto che tra di loro è stipulato: vedi 1 Samuele 18, 1-4. Palpabile la presenza di Dio in mezzo a loro. Quando s’incontrano, prima di abbracciarsi s’inginocchiano, perché sentono la presenza del divino: 1 Samuele 20, 41-42.
La mancanza dell’uomo, della comunità, dell’amicizia, con la conseguente incapacità di portare avanti un discorso di coppia, rimanda al problema dei problemi: la mancanza di Dio nella nostra vita. Un Dio che si presenta come il garante della felicità umana per chi, lasciandosi da Lui amare, impara ad accogliere se stesso, a perdonarsi, ad accettare la diversità, accettare l’altro senza giudizio e senza condanna, ad accettare il mistero e la provvidenza di aver consacrato il proprio amore con un sacramento. L’amore consacrato davanti all’altare è grazia e garanzia che la fatica del rapporto coniugale è altamente pagata già su questa terra, con l’intuizione: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Valentino