Nasce e risorge ogni speranza

“Morte e Vita si sono affrontate in un duello straordinario:vil Signore della vita era morto, ora, regna vivo”.

Questo versetto della sequenza pasquale risuona nel mio spirito mentre una giovane amica, trentenne, espone il suo grande dilemma: permettere che suo figlio nasca contro il volere del padre o sopprimerlo contro il suo istinto, non chiaro, in verità, di dare vita alla vita?

Le mostro il presepe alle mie spalle: la mangiatoia ha la forma ottagonale, a significare contemporaneamente – secondo la mentalità ebraica – la tomba e la resurrezione. Mangiatoia e tomba. Nascita e morte. Inizio e fine. E ciò che collega questi estremi, ciò che fa da ponte è l’amore. Amore che permette una nascita. Amore che dà un senso alla vita. E pienezza d’amore il dono dall’alto concesso dal Signore al credente per illuminare la morte, ingaggiata in un misterioso duello con la vita. Dono offerto al debole e al dubbioso quale stimolo a credere che “più forte della morte è l’amore”.

Ben conosce queste idee l’amica, ma obietta che il padre del bambino non ha un lavoro fisso, non ha una casa. Non sono ancora sposati, benché siano insieme da circa dieci anni.

Scontate anche le mie possibili risposte: un figlio non è mai uno sbaglio, ma è sempre un dono; c’è una provvidenza specifica per ogni situazione; non è necessario celebrare un matrimonio “costoso”: tutto dipende da ciò che si ritiene prioritario nella vita; un aborto è un peccato di cui difficilmente una donna si perdona, a volte per tutta una vita. Peccato contro Dio, contro la vita, contro se stessa: molte volte dico alle donne di non ricordare più quel peccato confessato davanti al ministro della riconciliazione, ma quasi sempre sento il ritornello: “Fai presto tu a dirmi che Dio è misericordioso, ma io so di aver ammazzato mio figlio”.

Al di là di tutti i possibili ragionamenti umani e teologici, guardando alla culla e al crocefisso, altro non mi resta se non intonare un canto alla speranza, virtù fragile e tipicamente cristiana.

Fragile. Mentre sentiamo come necessità il credere per non vedere il mondo come assurdo (meglio ritenerlo mistero), mentre è una necessità vitale vivere d’amore, è la speranza la virtù fragile come un fiore che, o si coltiva da giovani, o non si possiede quando più se ne avrebbe bisogno.

Tipicamente cristiana. In un mondo che rapidamente cambia e che prospetta solo il successo legato alla prosperità, popolarità e potere, il cristiano fonda la sua speranza sulla povertà, sul nascondimento, sulla debolezza. Vive di attesa. Conta sui tempi lunghi. Valorizza tutto ciò che capita, convinto che “Tutto è grazia”. Scommette sull’avvenire. Vive il mistero dell’Incarnazione che valorizza al massimo sia la nascita che la morte, la vita presente e quella futura: “Il Natale viene. Se noi cerchiamo di comprenderlo come il punto di contatto del Dio
eterno con il flusso ininterrotto del tempo che passa ci riesce più facile, quasi naturale,
considerare questo avvenimento nel passato, di cui il Vangelo fa storia, e nell’avvenire, di cui
il Vangelo è profezia. Il Natale ci obbliga a pensare al Cristo venuto, e ci induce a pensare al
Cristo che verrà… Il Natale non ha soltanto lo sguardo rivolto all’indietro, alla nascita di Gesù nel presepio; esso ha lo sguardo anche proiettato nel futuro alla nuova e futura venuta gloriosa di Cristo”.

A queste parole di Paolo VI si può aggiungere l’idea che ogni nascita è una nuova venuta di Cristo nel mondo. Ogni creatura che si concepisce sulla terra è un accogliere l’inedito, è un credere oggi quello che si compirà e si capirà domani, è un decidersi a diventare uomini, assumendosi responsabilità che non possono fare paura per chi crede che la nostra speranza non è qualche cosa, ma Qualcuno: Cristo. Ed è Lui che rende interessante il vivere e meno tragico il morire, perché è il Risorto. Il Risorto di tutti i tempi, Lui, il Gesù di Nazaret. Lui il vivente di tutti i secoli. Lui il bambino concepito nel grembo di questa giovane donna che mi guarda e cerca motivi per convincere il marito a non cedere al pessimismo e a non fare un passo falso: potrebbe perdere il bambino, e con lui l’amore della sua possibile sposa.

“Cristo in voi, speranza della gloria”, dice San Paolo e a lui fa eco san Pietro: “Dio ci ha rigenerati mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti per una speranza viva”.

C’è una vita nel grembo materno che mirabilmente, in nove mesi, riproduce tutta la storia, dall’originale Big Ben, alla futura consumazione nella gloria, quando “Dio sarà tutto in tutti” e noi saremo come lui. Saremo Dio. Ma se “saremo”, vuol dire che già lo siamo. Dio in divenire. E sperare che altro è se non prendere sul serio questo progressivo modellarci ad immagine di Cristo, che è venuto a Natale e che verrà alla fine dei tempi per toglierci il velo dell’umana debolezza, per cogliere tutto il bene seminato qui, sulla terra, e per rivelare lo splendore della nostra filiazione divina?

Un lungo silenzio ora lega l’amica a me, in preghiera perché lo Spirito Santo la illumini e le impedisca di compiere un gesto insensato, mentre ancora risuona in me la sequenza pasquale: “Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via? / La tomba del Cristo vivente, la gloria del risorto; /e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le vesti; / Cristo mia speranza è risorto e precede i suoi in Galilea”. Lei non ha bisogno di ulteriori parole, ma di persone che la capiscano; l’incoraggino ad avere fiducia nella vita; siano disposte ad aiutarla nelle eventuali ristrettezze economiche; che facciano a turno ad accoglierla periodicamente in casa, in modo che capisca che la sua creatura è di Dio, della comunità e della vita. Vita terrena ed eterna. Perché un Dio pulsa in lei e ha bisogno del suo sangue per farsi uomo, per farsi eterno, poiché se questa vita è considerata come un’ombra delle realtà future, diventa bella, dinamica, divina.

“Ma – sommessa sussurra – se la vita di mio figlio dovesse essere difficile? Siamo in tempi di crisi”. Ribadisco che non ci è dato sapere come sarà il domani, mentre sappiamo comunque che è nelle mani di Dio e che Cristo è il Signore della storia e che lo Spirito Santo è l’Amore che non permette al male di essere più forte del bene. E se la vita è nelle mani di Dio, perché temere di dare vita alla vita? Perché non mostrare, con la gioia, che sul nostro volto brilla la certezza della resurrezione? Perché non attaccarsi alla speranza di chi, proprio perché crede, comunica certezze, promette la propria preghiera e non si nasconderà al momento del bisogno?

“Beato te che hai una fede forte”, afferma l’amica. A lei ribadisco che questa virtù non mi esenta dal sentirmi addosso il peso del dolore e del male del mondo, assieme al peso del mio peccato. Accetto di essere giudicato beato, ma questa beatitudine, mentre è fonte di intima gioia, mi rimanda a quel Cristo che mi garantisce di essere la mia pace a patto che ricordi anche “Beati voi che soffrite”.

Beati voi che portate con dignità la vostra croce, che sarà trampolino di lancio verso la resurrezione. Risurrezione di Cristo e nostra. Resurrezione che dilata gli orizzonti della nostra speranza quando mette sulle nostre labbra:

“Alla vittima pasquale, si innalzi il sacrificio di lode,
l’Agnello ha redento il gregge,
Cristo l’innocente ha riconciliato i peccatori col Padre”.

Valentino