Scoglitti, 17 ottobre 2011

Alla ricerca di esperienze belle

“Danzo, dunque sono”. È bello sentire questo ritornello in tanti paesi africani. Non è interessante riandare alle ferite del passato. Perché rivivere il dolore e parlarne a chi ha già i suoi problemi ed esce di casa per dimenticare? Non è un privilegio il semplice fatto di vivere? Si può tornare da capo. Si può riparare il male fatto o subito. Si può convertire il limite in una rinnovata ricerca di nuove energie, in modo da sconfiggere le tenebre anche solo con una tenue fiammella.

“Danzo e dunque sono e sono nato per danzare”.
Se il cartesiano: “Penso, dunque sono” ci porta a fare prevalentemente  l’inventario delle cose negative, ogni volta che incontriamo conoscenti e amici, la nostra povera testa si riduce ad una maleodorante pattumiera in cui bruttezza si aggiunge a bruttezza.

Cosciente dell’eredità di una madre, che voleva aiutarmi a superare un periodo di  grande dolore: “Ricorda solo le cose belle”, rivado periodicamente in quei luoghi in cui ho fatto esperienze forti, foriere di messaggi divini. Oggi sono a Scoglitti (Ragusa), su un’immensa, stupenda spiaggia animata solo da gabbiani, che danzano nell’incantevole cielo siciliano. Sono nel luogo in cui, molti anni fa, avevo incontrato una donna che aveva trascorso un quarto di secolo come prostituta. In tanti angoli della terra ho parlato di lei che, dopo essere stata riluttante a perdonare se stessa, ricevuta l’assoluzione, si era ritirata in un convento di clausura in India ed era diventata monaca.

Grato a Dio per avermi fatto ministro della sua pazienza e plenipotenziario del Principe della pace e della riconciliazione, vorrei aver tempo solo per la mia confessione di lode magnificando la Provvidenza che non ha scelto degli angeli per riconciliare a Dio il mondo, ma esseri come me, cisterna screpolata, per far nascere fiori dalle mie crepe. Ed ecco accostarsi a me un’altra penitente, una trentacinquenne che avevo incontrato nel suo liceo, quando aveva diciassette anni. Stupenda giovane che, nel suo costante avvicinarsi alla luce, scopre quelle ombre che passano inosservate a quelle coscienze incallite che, dopo venticinque anni di lontananza dalla Chiesa, affrontano il confessionale dicendo: “Non so cosa dirle. Non penso di avere peccati. Non ho rubato. Non ho ammazzato…”.

Questa penitente aveva attraversato più volte la penisola per partecipare ai miei campi scuola, periodica immersione per un’intera settimana in un silenzio propizio all’ascolto della Parola. Ora è qui, per chiedermi ancora una volta il perdono. Che dire ad una persona che supera in santità il “maestro”? Il rito penitenziale, comunque, invita il confessore a rivolgere parole incoraggianti al penitente. Decido allora di invitare la giovane amica a ricordare l’esperienza della prostituta di Scoglitti. Sorprendentemente arguta la prima reazione: “Spero di non passare da potenziale suora a prostituta…”. Ma subito si ricompone, desiderosa di ascoltare le mie parole. La invito a riscoprire la sua bellezza e a farne un motivo di continua lode al Signore. Poi le chiedo scusa, perché mi sembra di dirle cose che già altre volte ha sentito ripetere: “Non dire più così! – m’interrompe – . Quando confessi non parla Valentino, ma il Signore. E sappi che mi ricordo ancora quanto bene mi ha fatto il sentirti dire la prima volta che mi confessasti: «Anche il fango, alla luce del sole, brilla»”.

Questa nuova esperienza a Scoglitti arriva al  termine di una settimana di  esercizi spirituali sul tema della riconciliazione. Con tanti fedeli della provincia di Ragusa e di Noto ho discusso sul tema che una persona non è il suo peccato e che, fatto uno sbaglio , deve perdonare se stessa, anche quando il cuore accusa di peccato, perché “Dio è più grande del nostro cuore”.  Tra i miei uditori ho trovato resistenza alla proposta di perdonare e dimenticare il tradimento all’interno del matrimonio. Se è brutto l’adulterio come atto fisico, è peggio quell’adulterio  consistente nel mettere Dio al secondo posto nella nostra vita e in questo senso chi non è adultero? Chi può scagliare la prima pietra? Non so quanto sia stata accolta  la mia supplica a perdonare e a dimenticare. Mi dispiace che solo oggi ho ricevuto una e mail che avrebbe potuto essere più eloquente di mille mie parole e che sintetizzo con grande sofferenza per ciò che è capitato al mio amico, ma pure con tanta riconoscenza a Dio per il dono di persone che, ricordando le cose belle del passato, perdonano in questi termini:
“… Purtroppo mia moglie è incinta di un altro uomo. Forse dovrei cacciarla, ripudiarla, umiliarla, denigrarla, calpestarla. Forse. Forse solo così potrei dimostrare la mia mascolinità! Forse solo così potrei dimostrare a tutti di essere un uomo vero! La peccatrice va punita! Che assurdità! In realtà, la amo come e più di prima. E c’è solo una soluzione al problema: l’amore. L’amore che cancella tutto. L’amore è perdono, accettazione del limite, superamento dell’ostacolo. L’amore è gratuito e si offre soprattutto nel momento del bisogno: mia moglie , grazie al cielo, non è innamorata di un altro uomo. Ha solo commesso un gravissimo errore che ha pagato e sta pagando a caro prezzo, ma è una bravissima ragazza. Io non ho mai smesso di amarla. Mai. Anche oggi, nonostante tutto, umiliata e traditrice, io la amo”.
 
Rivolgendosi alla moglie, già mamma di una bambina di quattro anni , così scrive: “Cara (…), ho una foto in ufficio che ti ritrae sorridente. È un sorriso ricolmo di tenerezza, lievemente accennato: il tuo sguardo dolce è rivolto verso il basso, verso il tuo ventre rigonfio del nostro amore. Al di là di quel sottile strato di pelle c’era nostra figlia. Sopra quel sottile strato di pelle c’erano le mie mani. Guardando la foto, ancora oggi, mi commuovo. Posso riavvertire la sensazione vivida del calore umano di mia figlia attraverso di te, luce della mia vita, vita nella vita.
Sappi che l’unico scopo della mia vita è rivedere quell’espressione sul tuo volto. Tutto il resto non conta. L’unica cosa che voglio è rivedere quella gioia, quella serenità, nei tuoi occhi. Come posso fare? Dimmelo ti prego! Quanto ci incontrammo ti dissi che volevo dedicare la mia vita a renderti felice. È ancora così! Tu oggi non sei felice. Voglio che tu torni ad esserlo!
 
Spero con tutto il cuore che questa mia dichiarazione d’amore possa indurti ad una rielaborazione potente del concetto stesso di amore.  E l’amore è fiducia e anticipo di fiducia, è perdono, è sacrificio, è tenerezza, è aiuto nel momento del bisogno! È chi ha più bisogno di te? Io, il tuo potenziale primo accusatore, io, il tuo boia in pectore, colui il quale tutto ha subito, ti perdono e ti accolgo così, per godere nel vederti tornare a splendere. Per essere parte e causa della tua rinascita. So che pare eccessivo, ma in un certo qual modo sono felice di avere questa possibilità di dimostrarti cosa provo per te. Come dice Don Valentino, il Signore non porta mai dolore ai suoi figli se non per procurare loro gioie più grandi.
 
E il bambino? Tanta gente si chiederà giustamente: “Ma come fai ad accettare il bambino?” Ma il bambino è un essere umano che ha semplicemente diritto alla sua vita. Per me è una grande occasione avere la possibilità di dimostrare affetto ad una creatura venuta al mondo in questo contesto: ogni carezza ne varrà mille. Non ci sarà al mondo bimbo che si sentirà più amato di lui!
 
(…) Nella vita non sempre va come si vorrebbe, le persone fanno del bene ma anche del male, sbagliano, peccano, sono irrazionali, emotive, impulsive. Io sbaglio, tu sbagli . L’importante è rendersi conto, redimersi,  imparare dai propri errori, e, alla fine, scegliere sempre l’opzione che porta al bene proprio e altrui. Come dice Sant’Agostino: ‘Ama e capirai’”.

Valentino