Scozia, 6 Ottobre 2011

“Sono ancora geloso del tuo Dio”

A 18 anni visitai per la prima volta la Scozia soggiornando per un mese a Dunfermline. Diventai amico di un coetaneo che si dichiarava agnostico, desideroso di confrontarsi con un credente. Oh, le notti trascorse cercando Dio! Studiava e lavorava per non essere di peso ai familiari. E mi cercava, appena si ritagliava un momento libero per celebrare la nostra amicizia. Un giorno mi trovavo nella stupenda antica abbazia di questa città, solo, inginocchiato davanti ad un grandissimo crocifisso, con gli occhi chiusi e con la testa appoggiata sul legno della croce. Mi sentivo osservato. Quando mi voltai, vidi l’amico appoggiato ad una colonna, con una lacrima che gli rigava il volto: “Sono geloso del tuo Dio”.

Circa ogni dieci anni sono tornato nella stessa città per studiare quei fenomeni culturali che dopo trenta o quaranta anni si ripropongono anche in Italia. Col passare del tempo, il carattere degli scozzesi mantiene sostanzialmente gli stessi connotati: volontà di comunicare in modo umoristico, rapporti facili ma superficiali; volontà di soccorrere chi è nel bisogno, all’interno dei conoscenti; orgoglio del proprio patrimonio culturale. Apparentemente Dio rimane il grande escluso dalla società e Cristo è ritenuto un bravo uomo, mal servito dai suoi credenti “l’un contro l’altro armati”, protestanti in stragrande maggioranza e pochi cattolici, abbastanza praticanti. Chi è ateo giustifica la sua posizione con un unico, monotono ritornello: “Se Dio esistesse, non permetterebbe l’esistenza di tanto male nel mondo”.

Col passare degli anni, soprattutto i giovani diventano sempre più individualisti: camminano per la strada inondati di capelli che nascondono il viso; hanno l’auricolare che li isola nella loro assordante musica; si spaventano se qualcuno li saluta; mangiano in continuazione, anche lungo la strada, diventando così sempre più obesi; vivono in vista del fine settimana, in discoteca al venerdì e al sabato notte, nei campi sportivi al sabato, e a letto tutto il giorno alla domenica. Per loro l’ambiente è sacro e nuovo idolo è il cane, trattato meglio degli esseri umani, chiamato con un nome cristiano, inondato d’amore: “Figlio mio, vieni dal papà!”.

Diventato prete, per un’estate avevo retto una parrocchia (Blackburn) per permettere al parroco di andare in vacanza. I cattolici mi trattavano benissimo prima e dopo le messe o le varie liturgie, ma poi scomparivano: nessuno suonava alla mia porta con lo scopo di incontrare l’ “uomo di Dio”, per confessarsi o per consultare il missionario che passava dall’Africa alla Scozia, desideroso di approfondire (o riscoprire) le radici cristiane dell’Europa. Solo un giovane cattolico soffriva per la mia sconcertante solitudine nella grande e vuota casa parrocchiale e mi invitava ad andare al pub, per incontrare i giovani. Mentre io mi sforzavo di bere una birra, loro ne scolavano sei o sette per avere il coraggio di parlare di Dio. E quando l’alcool produceva il suo effetto, ascoltavo le loro dichiarazioni: “I love you, father”. Qualcuno, pensando di farmi un complimento, aggiungeva: “Ti amo quanto il mio cane”.

Piove sempre in Scozia. Fantastici sono i prati e i fiori. Ma quella continua pioggia rende depresse troppe persone che vivono in funzione di arrivare a maggio e giugno quando il sole tramonta alle ventitre.

E troppe nubi si profilano all’orizzonte culturale di tanti giovani che in famiglia non hanno mai sentito parlare di Dio, non sono stati introdotti ai valori umani e al concetto di peccato, onde essere in linea con il “politically correct”. L’esasperazione della “privacy” e del rispetto per l’unicità di ogni persona ha portato i genitori (essi stessi non introdotti alla fede) a lasciare che i loro figli scegliessero la loro religione, una volta diventati maggiorenni. Non si sono resi conto del danno anche psicologico arrecato ai loro figli: nel nulla si può cadere, ma dal nulla niente fiorisce.

Non voglio certo giudicare nessuno e tanto meno osare critiche che possono affossare ulteriormente una persona o “spegnere il lucignolo fumigante”. Qui si comprende quanto sia importante essere tolleranti e cercare di mettersi nei panni degli altri e seguire le orme di Cristo che non disdegnava di cenare con i pubblicani e i peccatori … Cenare con un gruppo di famiglie, nessuna delle quali ha una situazione che abbia la parvenza di essere regolare, secondo le regole della Chiesa cattolica. E celebrare l’eucarestia sapendo che tutti riceveranno la comunione senza confessarsi, convinti che Dio è più grande delle regole e dei precetti della Chiesa.

Non giudicare. Non condannare. Rispettare e amare tutti. Ma essere anche precisi nel ribadire quanto in questi giorni Benedetto XVI ha ricordato alla sua gente in Germania: senza Dio la società si svilisce. Senza Dio non si capisce l’uomo. Senza Dio l’umanità è destinata a diventare sempre più angosciata, dall’ “essere galleggiante sul nulla”.

Condivido queste idee con l’amico che avevo incontrato a Dunfermline circa cinquant’anni fa. Da allora è diventato padre e nonno. Si vergogna di non avere avuto il coraggio di parlare di Dio ai figli e ai nipoti. E di nuovo le lacrime gli rigano il volto mentre mi sussurra: “Sono ancora geloso del tuo Dio”.

Valentino