Là dove l'ombra esalta la luce

Modica – Murika: “pietra”, secondo alcuni; “dimora”, secondo altri. Città nata su un tipo di roccia molto tenera che consente una facile lavorazione. Grotte scavate nelle pareti, silenziosa testimonianza di antiche abitazioni. Case aggrappate lungo un promontorio, una addossata all’altra, attorno alle cento chiese, alla quali si accede attraverso bellissime, suggestive scalinate. Una delle più attraenti città d’Italia. Alla sera sembra un presepio. Perde un po’ il suo fascino quando c’è una esplosione di luce, che sembra appiattire tutto. Ma all’alba e al tramonto, il gioco di ombre e di luci la rende affascinate. Le case costruite l’una sull’altra, lungo vicoli stretti e tortuosi, impreziositi da splendide chiese barocche e blasonati palazzi nobiliari, traggono gran parte della loro bellezza proprio dall’armonico alternarsi di ombre e luci.
Così interpreto questa città e da questa immagine prendo lo spunto per i temi che svolgo durante le numerose assemblee studentesche nelle scuole superiori, dove sono prevalentemente i giovani a chiedere ai loro docenti la mia presenza tra di loro. Essi che si chiedono: “Dove era Dio quando il mio amico è morto in un incidente, mentre correva verso la sua ragazza, sul motorino?”. “Se Dio è onnipotente perché permette lo tsunami?”. “Se Dio è amore, perché non fa sì che papà e mamma vadano d’accordo?”.
È interessante: non dubitano dell’esistenza di Dio, ma della sua capacità di intervenire. Scandalizza il problema del male. Le tenebre sembrano inghiottire la luce.
Cerco di rispondere alla loro problematica rimandandoli alla bellezza della loro città, che trae dalle ombre il potenziamento del suo fascino. A questa intuizione aggiungo argomenti sui quali continuamente parlo e scrivo: Dio, prima vittima dei mali del mondo; Dio onnipotente nell’amore e impotente di fronte al male dell’uomo, per salvaguardarne la libertà; Dio che, contro i mali del mondo, ha fatto noi; Dio che ci invita a non lamentarci delle tenebre, ma ad accendere una candela.
Quanto sono belli quei giovani che hanno fatto un’esperienza di fede! L’incontro con la Luce mette sì in evidenza le loro ombre, senza che queste prendano il sopravvento e generino angosce. L’incontro con Dio li aiuta a conoscere se stessi, ad amarsi così come sono, a sviluppare le loro potenzialità, a far capire che essi non sono il loro peccato, perché, quando il cuore li accusa, Dio è più grande del loro cuore e li aiuta a trasformare il limite in preghiera, energia che eleva l’essere umano e lo rende bello con Cristo sul Tabor.
Ed ecco queste fragili, preziose creature, aggrapparsi a me, o per darmi un bacio, o per stringermi la mano, o per supplicarmi di non andare via. Quando poi arrivo a casa ecco i messaggini: “Mi hai fatto piangere!”. “Perché gli altri professori non ci dicono queste cose?”. “Non penserai di andare via così, senza parlarmi, dopo avermi sconvolta” … e che bello incontrare l’autrice di quest’ultimo messaggino alla conferenza della sera, nella parrocchia dove sto conducendo gli esercizi spirituali!
Due corsi in un solo mese (parrocchie del Sacro Cuore e Madonna delle Grazie), con una partecipazione sorprendente: chi mai si aspetterebbe al nord d’Italia una presenza costante di oltre quattrocento persone? Come dubitare della sete di Dio ai nostri giorni? Sete di Dio e domanda di senso non caratterizzano forse questa generazione che o diventerà mistica o scomparirà? Ma siccome sono certo che non scomparirà, non c’è alternativa: stiamo avviandoci verso un’epoca nuova, verso “cieli nuovi e terra nuova”. Quando avverrà questo? Davanti a Dio “mille anni sono come il giorno di ieri che è appena passato”.
Sete di Dio. A queste persone non interessa molto la morale cattolica, né percepiscono come un obbligo cogente la partecipazione alla messa domenicale, ma Dio sì. E mi chiedono una ragione della mia fede, vogliono sapere chi sono, che cosa mi aspetto dalla vita, perché viaggio tanto, come alimento la mia fede, perché non la perdo quando vedo bambini morire di fame.
Emerge così il volto di un Dio gratuito, ma non superfluo. Un Dio che dà senso alla vita che è fatta per le cose belle: tutte gridano il suo nome. L’ho sperimentato per l’ennesima volta nel convento di clausura delle Benedettine di Modica. Ventidue suore alle quali parlo tutti i giorni e mi accolgono come un fratello bisognoso di fermarsi a contemplare le cose belle che il Signore mette ogni giorno a disposizione di chi vuole vedere. Grande la loro sete di Dio e il bisogno di vivere solo per Lui, in un ambiente bello, in una comunità grata al Signore che dà loro il privilegio di pregare, essere staccate da tutto per avere il Tutto, povere di beni materiali ma ricche del desiderio di incontrare lo Sposo, per cercare il quale si alzano anche di notte, per stare in adorazione. Suore che sono lì, sempre in quell’ambiente, da trenta, sessanta, settanta anni e, amorevolmente, mi dicono che pure io avrei bisogno di fare come loro il voto di stabilità …
Voto che è contrario alla mia natura, cha va ovunque cercando Dio. Rompo il silenzio dei monti per chiedere: “Dove sei Signore?”, ed ecco alzarsi in volo un mugolo di uccelli che per me intonano un inedito canto. Pongo la stessa domanda al mare e questo mi risponde facendo guizzare dall’acqua pesci che per me improvvisano una gioiosa danza. Chiedo al mandorlo dove sia Dio ed esso fiorisce. Chiedo al mio cuore dove lo posso cercare e mi risponde di fermami periodicamente nei conventi, nel deserto, nei seminari, ma di cercarlo sistematicamente per le strade del mondo, con una tenda a spalle, per incontrare sguardi bisognosi d’Infinito, vite alla ricerca di senso, creature assetate di Dio e abbellite dai giochi di luce.

Valentino