"Anche Dio è infelice"?

Dio non dovrebbe essere infelice di Nur. L’avevo incontrato da adolescente. Suo padre è egiziano, sua madre piemontese. Lui era musulmano. Una amica l’aveva convinto a partecipare ad un campo scuola ed era stato affascinato da tutto quello che lì avveniva. Era ritornato una seconda volta, attratto non solo dalle cose belle che si dicevano, ma anche dalla presenza di ragazze che l’aiutavano a capire che Dio è amore…

Un campo scuola tira l’altro e finì per farsi battezzare. Ora è in seminario, a Novara. Serio, essenziale, schietto nel dire tutto quello che il cuore gli suggerisce, prega tanto, è sistematico. Di questo passo, tra un anno,  sarà ordinato prete. Non lo voglio santificare prima del tempo, ma non posso negare di essere umilmente fiero di lui. Mi ha invitato a parlare in seminario e nella parrocchia dove già fa un po’ di apostolato. L’ho  invitato a fare da animatore al campo scuola che si terrà a Ronco Scrivia dal 23 al 29 agosto e sono contento che abbia accettato.
Con lui, per cinque giorni, ho cercato di capire i valori umani e divini che si vivono in Piemonte. Qui, più che altrove, è risuonata in me  – sia pure sotto forma interrogativa – l’affermazione di padre Turoldo: “Anche Dio è infelice”.
Ragazzi delle medie, attentissimi mentre parlavo dei tanti problemi dell’Africa, quando si è trattato di chiedere se avessero domande da farmi, rimasero muti, ad eccezione di un preadolescente che, dopo aver guardato il parroco che è calvo, mi ha chiesto: “Perché lei che è vecchio ha ancora i capelli?”.
Ho celebrato alcune messe in cui nessun giovane era presente.
Ho incontrato vecchi amici che mi hanno detto che faticano ad andare in chiesa o non partecipano all’eucaristia, perché “la messa è noiosa”.
Noioso diventa chi non prega più! Ecco un gruppo di amici che, stancamente, s’incontrano per  mangiare la pizza e parlano dello stress del vivere quotidiano, della mancanza di tempo, degli amici che non si vedono più, per rifarsi, però, parlando della squadra del cuore.
“Anche Dio è infelice”?
Nell’ultimo mio scritto dicevo: “Racconterò in seguito le intuizioni che mi sono nate analizzando i fatti della lacrimazione della Madonna a Siracusa”. Quanto mi è capitato in Piemonte diventa un ulteriore stimolo a confrontarmi con il pianto della Vergine per intuire il pianto stesso di Dio.
Pio XII, dopo la lacrimazione della Madonna a Siracusa, si era posto la domanda: “Comprenderanno gli uomini l’arcano messaggio di quelle lacrime?”
In esse vedo il segno della  presenza della Vergine Madre nella Chiesa e nel mondo. Esprimono la sua tenerezza e il suo amore; sono espressione  di dolore e di gioia, di preghiera e di intercessione, di umana e divina partecipazione. Che cosa desidera una Mamma se non il bene totale dei suoi figli? Vuole che siano contenti qui in terra, salvando corpo e spirito, vivendo con un cuore che ascolta,  sempre aperti alla conversione,  lieti nell’amore fraterno, nel perdono, nella riconciliazione.
Quelle lacrime, inoltre, sono segno della divina misericordia mirabilmente cantata nella parabola del Padre prodigo. Sono pure espressione della sofferenza della Chiesa, della quale Maria è madre, modello, esempio e figura. Sofferenza che non è l’ultima parola della storia, perché per il credente l’ultima parola non è mai morte, ma vita. Non è fine, ma inizio. Non è dolore, ma amore.
  Quelle lacrime, in fine, additano e riassumono tutte le sofferenze dell’umanità, soprattutto quelle degli innocenti: non sono anche le nostre madri, qui in terra, disposte a piangere tutte le lacrime dei loro figli, pronte a soffrire in loro vece, con un pianto sempre aperto alla speranza?
Le lacrime di Dio e di Maria esprimono dolore o  gioia ? “Gioia e dolore hanno un confine incerto” (Fabrizio De André). Non si sperimenta forse nel dolore la gioia della condivisione, della presenza, della vicinanza, della nascita? “La vostra  tristezza – dice Gesù – si muterà in gioia”.  La mamma che dà alla luce suo figlio subito dimentica il dolore del parto, mentre contempla il “prodigio” che si trova tra le braccia.
Sono andato a Siracusa per capire il perché del pianto della Vergine, icona del pianto stesso di Dio. Essendo nato in una casa a cento metri dal santuario della “Madonna delle lacrime” di Ponte Nossa e avendo modellato soprattutto la mia giovane età al ritmo delle campane e della vita di questa mia chiesa parrocchiale, mi piace far risuonare una domanda che corre spontanea sulle labbra di chi s’immerge nella storia con il cuore aperto al mistero: “Perché la Madonna appare e perché piange?”.
 “Quando sarò morta – scrive S. Teresa del Bambino Gesù – non starò in paradiso, perché voglio rimanere con gli uomini”. Quello che afferma questa giovane, grande santa vale a maggior ragione per la Vergine Madre. Ella è viva. Viva in un corpo glorificato, come sarà pure questo nostro corpo, rivestito di luce, alla fine dei tempi. Viva ad intercedere per noi.
Che cosa significa che Maria è in paradiso? Dov’è il paradiso? E’ il nostro cuore. Noi siamo il paradiso della nostra comune Madre. Lei ci vede in tante difficoltà. Vede che i nostri occhi sono chiusi al disegno provvidenziale di suo Figlio, nostro fratello Gesù, e allora viene ad aprirci gli occhi. Appare. Si manifesta. Rivela un lembo di paradiso dentro di noi. E ci indica la strada per non perderci sugli impervi sentieri della terra: pregare, pregare, pregare tanto.
 Appare e parla. Non dice nulla di strano e di rivoluzionario: ribadisce la necessità di ritornare sulla retta via indicata da Cristo nel discorso della montagna.
 Appare, parla e piange per additare agli esseri umani che lei, più che viva, sta scrivendo una nuova storia che i nostri testi scolastici ignorano. Una storia parallela e nascosta, ma non meno reale, marcata dai suoi interventi, miranti a richiamare l’umanità su quanto c’è di essenziale: credere in Dio, amare noi stessi come condizione per amare il nostro prossimo e creare così la civiltà dell’amore. Una storia che ha un marchio caratteristico e provvidenziale: le manifestazioni mariane non sono un privilegio per la persona che vede la Madonna o per chi ne testimonia il pianto, bensì una messa in guardia contro imminenti pericoli e un invito a riparare il male che offusca l’umana esistenza.
 Come ministro di riconciliazione sono testimone dei miracoli che opera Maria nei suoi santuari: le confessioni. È la Madonna ad accompagnare il penitente al confessionale: mentre il credente può avere paura di Dio, non teme la  Mamma del cielo. E guardando a lei, il cammino di riconciliazione diventa più facile, più immediato. È la via del cuore, della tenerezza, della compassione.
Guardando alle lacrime della Madonna il penitente scopre il significato del pianto di Dio e ritorna in se stesso, si converte, chiede l’assoluzione.  E lasciato il tempio, riprende il suo pellegrinaggio, convinto che cominciare ad amare è sì cominciare a soffrire, ma è una sofferenza da privilegiati: è il camminare nella notte sognando l’alba; è il rompersi del guscio della noce per estrarne la polpa; è lo scavare della trivella per trovare la vena d’acqua pura.

Valentino