Alla ricerca di sguardi

Il viaggiare un tempo era una festa, superata  la sofferenza nel lasciare familiari e amici: la mia prima partenza per l’Africa prevedeva il ritorno in patria  dopo due anni.

Mi è sempre piaciuto volare, incollato al finestrino, per ore e ore, a contemplare cielo, mari, monti, oceano e deserto. Soprattutto il deserto mi ha costantemente affascinato e sconvolto, sia per la mia familiarità con la Bibbia, sia per il desiderio di perdermi nello sconcertante silenzio di spazi infiniti,  un tempo popolati da diversi amori e ora ridotti a sabbia, spazzata dal vento.

Al piacere del volo si univa il desiderio di fare nuove esperienze, perdermi in nuovi volti, cercare nuovi sguardi, raccogliere materiale per raccontare a tutti la fantasia di Dio. Un Dio dai grandi occhi degli Etiopi, dal naso sfuggente dei Filippini, dai veloci, callosi piedi degli Africani, abituati a macinare chilometri e chilometri di rossi sentieri, tra la foresta, la savana, la steppa.

Non ho mai viaggiato per divertimento, anche perché luoghi fantastici contemplati senza le persone alle quali voglio bene, non sempre mi affascinano. Anzi, spesso creano nostalgia e tristezza. Ho viaggiato per imparare, per insegnare, per dare ai leader delle giovani Chiese, in tutte le parte del mondo, la possibilità di far ascoltare la loro voce, grazie alle loro interviste. E ogni qual volta ciò si realizzava, provavo  la soddisfazione di veder aggiunta una tessera del mosaico del Regno dei Cieli.

Ma, da un po’ di anni, la situazione del viaggiare è mutata radicalmente. In treno spesso non si trovano posti a sedere, oppure sembra che gli scompartimenti siano un indecoroso mercato: la gente spiffera ai quattro venti questioni private, gridandole nel telefonino (mettesse almeno il “vivavoce”, si sentirebbe l’altra parte della storia).  Treni lenti. Treni in ritardo. Treni cancellati… 
 
Sull’aereo si è stretti come sardine. Si perdono due o tre giornate, per ridurre il costo del biglietto. Si arriva a destinazione con la schiena rotta. Si mangiano cibi che sanno di plastica. E si fa fatica a credere al sorriso falsamente tranquillizzante delle hostess : lo posso  ben dire, dopo aver subito terribili vuoti d’aria e aver visto in faccia la morte quando l’aereo stava per schiantarsi su Porto Vejo (Brasile). Ricordo, quella volta … Avevo accanto a me un musulmano che, con il suo rosario, sgranava furiosamente i 99 nomi più belli di Allah. E io,  che non avevo il coraggio di chiedere a Dio di salvarmi, lo pregavo di ascoltare la disperata invocazione di quel povero seguace di Maometto…
 
Ma al di là dei problemi del viaggiare, vale comunque la pena di vivere continuamente con la valigia in mano, alla ricerca di nuovi sguardi. Sono molte le persone che sentono il bisogno di comunicare, ma non hanno il coraggio di far crollare le barriere. Mentre queste, per molti, cadono solo dopo la terza bottiglia di birra, a me basta uno sguardo.
 
A volte forse sembrerò invadente. Ma fino ad ora mai nessuno – eccetto in Giappone, dove la cultura vieta di guardare una persona negli occhi – si è mostrato infastidito dal mio sguardo. Forse m’illudo di poter imitare Cristo che guardò il giovane ricco, lo amò e gli fece la proposta di vendere tutto. A lui, quella volta, andò male e rimase molto triste. A me non sempre è andata bene. Però, fino ad ora, nessuno mi ha preso a schiaffi …
 
Il guardare con occhi di fede al cielo, ai monti, alle desolate solitudini, agli oceani e soprattutto ai nostri fratellini permette di scoprire quanto a molti rimane nascosto. Ci dona una sguardo penetrante e profetico, come quello di Giovanni Battista. Lui, che mai aveva incontrato Cristo, là, nel deserto, aveva reso  bello e puro il suo sguardo,così da essere in grado di riconoscere il Santo di Dio, al Giordano, in fila con i peccatori: “E, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’Agnello di Dio»”.

Valentino