Silenzio che riassume ogni parola

Ho ascoltato la voce dei giusti, dei santi, dei profeti dell’Antico Testamento e ho imposto loro silenzio davanti alla grotta di Betlemme. Ho meditato i sogni di Giacobbe, la sua scala che unisce cielo e terra, i sogni del visionario Giuseppe, i sogni del profeta Isaia e li ho visti realizzati nel gracile corpo del Verbo fatto carne. Ho contemplato il Dio folgorante di Mosè sul Sinai, il Dio sul trono di gloria del re Davide, il Dio affascinante e tremendo dei profeti e ho scoperto che nulla può competere con il Bambino che vagisce sulla paglia. Un Dio che si fa uomo per amore di quest’umanità, in una notte sconosciuta, in un piccolo paese schiavo di Roma. Un Dio figlio adottivo di un povero falegname. Un figlio. Tutto di Maria, del suo sconvolgente e generoso sì dato alla vita minacciata dall’ombra della croce.
Maria: grande perché ha creduto. Privilegiata perché nel suo grembo ha portato il suo Creatore. Trepida, come tutte le madri, per il futuro dei loro figli, sia che abbiano un giorno sia che abbiano trentatré anni. Luminosa e bella come la stella cometa che alberga nel suo cuore. Maria, la donna del silenzio.
E lì, nel silenzio davanti al presepio, “inciampo nel buio attendendo l’amore” (Novalis). Buio, deserto e silenzio – quel silenzio che avvolge ogni cosa, quando la notte è a metà del suo corso – si animano di una Luce che dà chiarore alla luce. La luce della fede che sfiora le mie membra, illumina la mia intelligenza e apre il cuore al Mistero, fulgido enigma che dà un senso al tutto.
L’affascinante luce del Mistero accentua sempre più il mio bisogno di credere in Dio, nel suo eterno progetto d’amore, nel quale sono chiamato per nome, e nel quale vivo, sono, amo, sogno e mi perdo per ritrovarmi. Nel Dio che mi ha cullato nel grembo di mia madre, come ha fatto Maria con Gesù. Nel Dio che ha guidato i miei primi passi, come Maria faceva con Gesù, sorreggendolo con funi d’amore. Nel Dio che sempre mi è stato accanto, come Maria che sollevava Gesù bambino quando cadeva e gli era acconto, con indicibile dolore, quando non poteva sollevarlo nelle cadute sulla via del Calvario.
Credere in questo Dio non solo non mi costa, ma è un bisogno: ho toccato, anche solo per un istante, il Mistero. La mia esperienza di fede: quella morte, trasformata in fonte di nuova vita, mi ha introdotto nel mistero dell’incarnazione. La carne raggiante della Parola eterna, per me, mendicante di luce e d’amore, mi ha indicato nel prossimo il luogo privilegiato per incontrare Dio. Ad ogni Natale, ad ogni omelia, ripeto che “Dio si fa uomo, perché l’uomo si faccia Dio”.
Ma ora, col passare del tempo, mentre sento come privilegio il credere nel Signore dei cieli faccio sempre più fatica a credere nel Signore della terra. Troppe sono le domande che mi assillano: perché si chiude l’essere umano al Mistero? Perché non percepisce che, quando il Divino Infante bussa alla nostra porta, se noi apriamo, troviamo il bambino che vive ancora dentro di noi? Perché questo svuotarsi delle chiese, là dove il mistero si fa pane per nutrire la nostra fede? Perché le relazioni umane s’impoveriscono, s’intristiscono e scompaiono? Perché tante tensioni, rivalità, contese, sì che il prossimo non sia ospite ma nemico? E perché quell’indifferenza fratricida che permette a troppe persone di morire di fame o di inedia, per mancanza di cibo o di amore? Perché, Signore, mi chiedo, perché? Perché l’uomo inciampa, erra e si ammanta di buio, di ostilità e di odio?
Non trovo risposte umane al mio indagare. Ma il mio sguardo, davanti al presepe, incrocia gli occhi del Bambino Gesù che mi indica sua Madre. Lei, silenziosa, adora l’alba di quella luce che esisteva prima del sole e di tutte le stelle. Lei, nel cuore della notte, mi offre suo Figlio, come mio fratello. Lei mi sussurra che, se voglio vedere la stella cometa, devo cercarla negli occhi dei miei fratelli. Per loro Gesù è nato, vissuto e morto. In loro è risorto, vive e parla attraverso quel silenzio che riassume la divina Parola.

Valentino