Ponte Nossa, 28 Agosto 2010

C’è ancora tanta nostalgia di Dio

Alcuni amici che un tempo partecipavano ai campi scuola, sposati, vengono agli esercizi spirituali con i loro figli. I più piccoli all’inizio sono un po’ spaventati dal silenzio, sempre osservato, anche durante i pasti. Ma fanno presto ad abituarsi: il buon esempio è contagioso. Mi fanno tenerezza quando li vedo sussurrare qualche cosa agli orecchi dei genitori e poi mi guardano, mi sorridono e muovono le labbra per farmi capire che stanno parlando di me: “Nonno!”.
Ogni tanto in chiesa s’addormentano. Ma non ne ho a male. Il libro degli “Atti degli Apostoli” dice che ciò capitava anche a S. Paolo. Mentre parlava un giovane s’addormentò, cadde dalla finestra e morì. L’apostolo lo risuscitò. Io mi limito a dire ai miei amici di non appoggiare i figli alla finestra…
E che bello quando papà e mamma, lì sull’altare, vengono a porre la loro creatura sulle mie ginocchia dicendomi: “La tua benedizione della fertilità ha fruttato questo capolavoro”. E vogliono che benedica anche i loro figli, che si mettono in ginocchio, a mani giunte, con gli occhi chiusi per vedere l’Eterno… La fede dei loro genitori pone in essi la nostalgia dell’Assoluto, dell’Infinito e dell’Eterno. Fede che, come l’amore, si trasmette per connaturalità. I piccoli sono affascinati dal divino, quando in famiglia si respira Dio.
Anche gli adolescenti, presi uno ad uno, parlano della loro sete d’Assoluto e della loro nostalgia di Dio. Caratteristiche bene nascoste – se non ridicolizzate – quando sono in gruppo: lì, sul muretto, omologati in tutto, costretti a mettersi la maschera del desacralizzante, dello spavaldo, del cane che abbaia per nascondere la sua paura. Ma, in privato, cade la maschera e vengono a chiedermi di assicurarli che Dio c’è e che chiude gli occhi su quel loro corpo impazzito e rubato, sulla loro intelligenza annacquata tradita, sulla loro fede non conosciuta e non alimentata in famiglia.
I giovani in gamba fanno l’esperienza di Dio quando il loro amore è corrisposto: “Guarda, Valentino… Mi dispiace per te che non hai una ragazza. La mia… no, non è una donna: è una dea. Sai, mi tira fuori tutto il bene che c’era dentro di me. Amandola ho riscoperto Dio”.
Pure molti adulti sentono la nostalgia del Signore, ma la soffocano con una vita assurda. Un moto perpetuo per mantenere il posto di lavoro, per far carriera, per accumulare straordinari e così riuscire a pagare il mutuo della casa nel giro di venticinque anni… E così, di anno in anno, rimandano l’appuntamento della settimana d’esercizi spirituali. Che tristezza! Con gli adulti di oggi non si riesce più ad organizzare un incontro di preghiera. Conducono una vita in cui la nostalgia di Dio non si concretizza nella scelta di stare con lui, almeno per una settimana. E spesso si fatica a suggerire loro di fermarsi con il Signore un quarto d’ora al giorno, il che corrisponderebbe a dare a lui un centesimo di una giornata. Questo tipo di vita spaventa alcuni giovani riguardo all’opportunità di sposarsi. Essi che non esitano, parlando di un comune amico, ad affermare: “Sta bene, anche se è sposato”, alludono al fatto che non si vede e non si sente più. Non lo s’incontra più in chiesa, anche se non si dubita della sua nostalgia di Dio.
Nostalgia di Dio che si respira anche nei conventi: uomini e donne di Dio che a lui tutto offrono, a lui e al prossimo si dedicano completamente in seguito ad un’esperienza di fede, che ribalta tutto nella loro esistenza. Ma, dopo il fascino dell’incontro, inizia la quotidiana fedeltà all’Amore, non più visto, sentito, sperimentato, palpato e gustato come nei tempi della giovinezza: inizia il deserto, dove si reputa fortunato chi riesce a coltivare la nostalgia di Dio.
Niente parla più chiaro di una lettera scritta da un’amica suora che dipinge Dio con parole riecheggianti la seduzione del profeta Geremia: “Prima ti seduce e quando pensa che non scappi più, se ne va con le più giovani. Quando ero giovane e non sentivo il Signore, gli dicevo: «Guarda che se non ti fai vivo me ne vado con un’altro» … E adesso? Adesso ormai non mi vuole più nessuno e resto qui in attesa con una nostalgia che a volte mi fa star male. E la sofferenza morale si trasforma anche in dolore fisico. Questa sofferenza e dolore non è forse un segno che lui c’è e mi mette alla prova per purificarmi? Ma nei pochi momenti in cui lo intravvedo mi sembra di volare. Mi sento ricompensata e ricambiata. Ciò mi dà forza per continuare a nutrire la nostalgia di lui. Nostalgia che, come tu dici, è già in sé una preghiera”.
E la nostalgia degli anziani? È fatta di “sospiri acerbi dei provetti giorni”. Guardando indietro capiscono che la qualità della loro preghiera avrebbe potuto determinare la qualità della loro vita. E mi supplicano di parlare ai giovani, di continuare a scrivere sulla necessità di lasciarsi cercare da Dio e di cercarlo finché si lascia trovare, per non arrivare al termine della vita con un pugno di mosche in mano.
Al termine della vita… Come quel ricco epulone che mi aveva illuso promettendomi il suo aiuto per costruire una casa per le bambine di strada. Ne aveva parlato in pubblico perché tutti udissero che voleva contribuire a sradicare i mali del mondo. Vane promesse ripetute anno dopo anno fino al giorno in cui, ormai prossimo a morire, mi chiamò per l’unzione degli infermi e mi accolse con un lapidario: “Ho sbagliato tutto”.
Mentre figli e nipoti litigavano nella stanza accanto sul modo d’interpretare il testamento, io pregavo con lui per tener viva la nostalgia di quel Dio che tutto perdona a chi, anche solo all’ultimo momento, s’accorge d’aver sbagliato tutto.

Valentino