Benedicimi, padre

A ventisette anni ho fatto la mia prima esperienza d’Africa in Nigeria, ad Ibadan, dove rimasi per cinque anni. L’eccessivo lavoro con oltre cinquecento studenti non mi permetteva di abbandonarmi alla nostalgia della mia terra. Caldo eccessivo, fame e pericoli vari – legati al mio desiderio di essere profeta – erano leniti dal balsamo dell’amcizia con i seminaristi, la maggior parte dei quali aveva quattro o cinque anni più di me.
Dopo dieci anni vi ero tornato per pochi giorni ed ero rimasto deluso. Forse non ero nelle condizioni migliori per rendermi conto della situazione del Paese, per il fatto di non aver trovato quelle persone alle quali avevo cercato di dare il meglio di me stesso: la mia fede e il mio amore. In quell’occasione avevo promesso a me stesso di non ritornare mai più in Nigeria. Ma nella vita non si deve mai dire: mai!
 
Ed eccomi di nuovo in Nigeria. La popolazione è considerevolmente aumentata, passando da ottanta a oltre centocinquanta milioni (Lagos ha oltre dieci milioni d’abitanti). All’aeroporto non c’è più quel terrificante caos che dava al visitatore una pessima impressione e la gente ha l’aria di essere serena. Tante cose sono cambiate. Allora i musulmani convivevano pacificamente con i cristiani. Ora creano non pochi problemi. Non cercano il dialogo. I cristiani (40% della popolazione) praticano il dialogo della vita in comune.
 
Provo un senso di sorpresa meraviglia notando il rispetto di molte persone nei miei confronti. Ciò non è probabilmente ascrivibile ad un eventuale cambiamento di carattere dei Nigeriani, quanto ad una esigenza culturale: sono i miei capelli bianchi che esigono rispetto. Soprattutto i giovani mi accostano sussurrando: “Benedicimi, padre”.
 
Le persone anziane accennano ad inginocchiarsi quando mi salutano come prete, anche perché i missionari stanno scomparendo e i preti locali stanno aumentando, al punto che è sorto un seminario, dove mi trovo, per inviare missionari nigeriani all’estero.
 
In questo seminario partecipo all’ordinazone presbiterale di sette diaconi che m’invitano anche alla loro prima messa. Sono l’unico prete bianco a concelebrare in queste liturgie che sembrano anticipare l’eternità…
 
“Chi prega ha in mano il timone della storia”. Ne sono conviti tanto i musulmani quanto i cattolici. I primi sono certi che il mondo presto apparterrà a loro, sia perchè gli Occidentali non pregano, sia perchè procreano pochi figli. Quindi silenziosamente penetrano in Europa, certi del roseo futuro che li attende.
 
I cattolici africani pregano molto e dal loro costante contatto con Dio, trovano la forza di essere sereni, di superare calamità, sventure e perdita dei loro cari e di non fare una tragedia se manca il cibo. Anzi, sanno ridere anche a riguardo della loro fame: “ Dio è grande: ha fatto lo stomaco che si può dilatare e restringere”. Se non c’è il cibo, si canta e quando c’è, se ne mangia una quantità sbalorditiva.
 
Al tramonto, sistematicamente, quando tutti cercano di accendere la luce, salta la corrente elettrica, fino alle cinque del mattino, quando all’orizzonte si profila la prima lama di luce. Se capitasse qualche cosa di analogo, cento volte inferiore, in Europa, scoppierebbe una rivoluzione. Qui, quando salta la luce, scoppiano risate. E la gente comincia a parlare, parlare, parlare.
 
Veramente ci si abitua a tutto nella vita. Chi poi ha fede, ne sperimenta il privilegio e la responsabilità. Me lo fa capire un giovane che trovo in chiesa, prostrato davanti all’altare, nel giorno in cui suo fratello è ordinate prete. Mentre una marea di gente è in festa, lui è lì, davanti al Santissimo, con le lacrime agli occhi. Gli impongo le mani sulla testa, come poche ore prima avevo fatto con suo fratello, durante l’ordinazione presbiterale. Il gesto lo sconvolge ancora di più, perché anche lui avrebbe voluto diventare prete, se non ci fosse stata la legge del celibato.  Mi confida che stava pregando proprio per suo fratello, ormai impossibilitato a sposarsi. Gli faccio notare che ha attorno tutta una comunità in festa. E lui: “ Si’, anche Gesù, il  giorno della palme … Poi, dopo tre giorni l’hanno messo in croce”. “Si’ – ribadisco  – ma se non sbaglio quella non è l’ultima pagina del Vangelo. Mi sembra che dopo altri tre giorni sia capitato qualche cosa di nuovo …” . “Pare. Padre! Benedicimi ancora perché non perda la fede”.

Valentino