Ponte Nossa, 26 Giugno 2010

Occorre tanta fede per peccare

Dalla telefonata di un’amica capisco che non posso esimermi dal fare visita a sua madre, gravemente ammalata. Quando per una persona si abbozza la possibilità di concedere il perdono dei peccati, non rifiuto mai la richiesta.

Arrivo in ospedale, tardi, la sera: i preti possono entrare nei reparti a qualsiasi ora. Ascolto la confessione sussurrata nel buio di quella stanza, dove un’altra ammalata sta agonizzando, tutta sola.

Rileggo le letture della domenica (XI C 2010): Davide che riconosce il suo peccato d’adultero e omicida, e la peccatrice che infrange il vaso d’alabastro, con il nardo, simbolo della fedeltà. Profumo costosissimo, per acquistare il quale ha dovuto lavorare per un anno. Trecento denari. Dieci volte di più del prezzo con il quale Giuda venderà il Maestro che ora conforta la peccatrice: “La tua fede ti ha salvato”.

La mia penitente sussurra le sue miserie ed io mi sento Dio nell’assolverla: proprio il vangelo odierno afferma che solo Dio può perdonare i peccati. Ed io solennemente proclamo: “Io ti assolvo dai tuoi peccati”.

Mentre incoraggio la penitente ad affrontare con serenità il giudizio di Dio, perché già sappiamo le domande (“Ero affamato, e Tu? … Ero nudo, e tu?…), arriva un’infermiera africana e si siede accanto alla donna agonizzante. Le prende la mano e l’accarezza con indicibile dolcezza, mentre sussurra un canto spirituale, un’invocazione, una supplica.

Siamo in una città in cui i politici al potere stanno facendo campagne per limitare l’ingresso in Italia degli stranieri. Ed ecco questa donna africana sta compiendo un “rito” che non rientra nelle sue mansioni d’infermiera. È lì a rendere meno sola l’ultima ora di un’agonizzante . È lì ad accompagnare davanti all’Eterno una donna abbandonata da tutti i suoi parenti che disprezzano il colore della sua pelle, ricettacolo di tutte le umane miserie.

Anch’io prendo per mano la mia penitente e chiedo di pregare in silenzio. Silenzio che mi permette di sentire alcune parole che l’africana sta cantando: una preghiera dello Yorubaland, regione dove vissi per cinque anni in Nigeria e dove tra pochi giorni tornerò: “Arambeeo, shedadatiwa Olua. Arambeeo”, ritornello della preghiera dei fedeli: “Ascoltaci, Signore”.

Il mio invecchiare porta con sé una certa facilità alle lacrime. Mi accosto all’infermiera: “Shedada ni?” (“È la pace con te?”). Mi regala un bellissimo sorriso, mentre mi risponde: “Aduque!” (Grazie a Dio).

E mi fa dono della sua vita. È qui a lavorare in Italia per aiutare soprattutto il suo “omokekere”, piccolo grande uomo, suo figlio che ora vive con la nonna, là, nella savana. Per alcuni anni questa nigeriana aveva vissuto con il compito di prendere l’acqua al ruscello: otto ore di cammino, trasportando secchi d’acqua sulla testa: lavoro che faceva con passione, raccontando infinite storie con le sue amiche. Poi un missionario le aveva dato la possibilità di studiare e fare un corso d’infermiera. Quanti sacrifici per quel diploma raggiunto mentre aiutava i familiari a strappare dalla terra quelle misere risorse per illudere lo stomaco! Quando stava terminando il corso, rimase incinta, diede alla luce suo figlio, lo svezzò e poi decise di andare all’estero per permettere ai suoi familiari di condurre una vita più decente.

“Padre, sono qui anche per scontare i miei peccati”. “No, tu sei troppo buona per fare dei peccati. Avrai fatto alcuni sbagli, ma non volevi offendere il Signore”. “Ma io mi sento in colpa”. “Il senso di colpa è diverso dal concetto di peccato”. “E che differenza c’è?”.

Le spiego che il senso del peccato, è direttamente proporzionale al senso di Dio. Quanto più l’uomo si accosta a Dio, tanto più capisce la sua situazione, come chi più s’avvicina alla luce, più scopre le sue ombre.

Il senso di colpa è espressione di un disagio psicologico, mentre il senso del peccato ha una valenza teologica. Il senso della colpa è legato al mio guardare solo me stesso, il senso del peccato è il risultato del mio rapporto dialogico con Dio. Il senso della colpa crea frustrazioni, il senso del peccato è liberante perché mi spinge a confessarmi e rinascere uomo nuovo. La colpa è legata al timore, il peccato all’amore. In una semplice frase: occorre tanta fede per peccare.

“Padre, colpa, peccato … non so. Tu mi perdoni?”.

“Quella mano che stai accarezzando ti accoglierà festosa in cielo, quando busserai alla porta del paradiso, perché “Dio perdona molte cose per un atto di misericordia”. E tutti gli angeli ti verranno incontro cantando: “Molto ti è perdonato, perché molto hai amato”.

Valentino