Ponte Nossa, 23 Maggio 2010

“Lo Spirito Santo? … L’Amico di padre Valentino”

È la festa dell’assunzione di Gesù in cielo. Un gruppo di ragazzi, che sta preparandosi alla cresima, gioca al calcetto, mentre attende la mia riflessione. In cappella invoco lo Spirito Santo perché m’illumini e mi istruisca su ciò che maggiormente serve per confermare questi preadolescenti nella fede. Mi arriva l’eco di quanto stanno comunicandosi: “Io, domenica, metto anche la cravatta nera perché fa più colpo”. “Mia nonna mi regala le scarpe che costano 250 euro”. “Io ho detto agli invitati che non voglio i regali ma i soldi, così mi salta fuori la moto” …

Raramente sudo per il caldo, ma sudo freddo quando le situazioni mi porterebbero a scappare e trovare rifugio nel deserto. E due immagini si dipingono alla mia mente, lì davanti al Santissimo, mentre mi pongo la domanda quale possa essere lo spunto per iniziare il discorso con questi ragazzi che riceveranno lo Spirito Santo il giorno di Pentecoste.

Scarto la prima, legata al ricordo dell’ultima cresima che feci in Italia: a un campo scuola avevo amministrato il sacramento ad un carissimo amico, venticinquenne che, assieme alla sua ragazza, avevo avuto il privilegio di aiutare a ritornare al Signore. Lui, vestito con una bianca tunica, si era inginocchiato davanti a me che gli imponevo le mani sul capo, mentre, assieme al coro degli amici, ripetevo come instancabile mantra: “Veni Sancte Spiritus”. Il cuore palpitava forte, per il mistero che stavo celebrando e per l’amico che stavo consacrando al Signore. Esperienza mistica irripetibile. Dopo di essa decisi di non cresimare più giovani che facevano della cresima il sacramento dell’abbandono alla Chiesa. Ma, evidentemente, non avrei potuto raccontare questo fatto a quei cresimandi.

Ricorro quindi al ricordo del mio primo impatto con lo Spirito Santo in Africa.

Dopo aver fatto i miei studi in francese e in latino, sono chiamato a insegnare in un paese anglofono, in Nigeria, a Ibadan. Avevo studiato l’inglese per conto mio, ascoltando cassette registrate e leggendo testi nella lingua. Nel giro di pochi giorni devo riuscire – sia pur leggendo – a tenere le mie lezioni di filosofia e di morale, a una marea di alunni, candidati al presbiterato.

Tocca a me fare la mia prima predica in inglese il giorno di Pentecoste. Se è difficile spiegare chi sia lo Spirito Santo in italiano, figuriamoci in inglese!

Provo pena di me stesso, durante la predica. Sogno solo che la messa finisca al più presto, per ritirarmi in camera ad assaporare una giusta punizione per la presunzione d’aver accettato una cattedra universitaria a 27 anni, in una terra straniera, in una lingua mai studiata a scuola.

A Ibadan è consuetudine – come in tutti i paesi anglosassoni – che al termine della messa il prete si rechi all’uscita della chiesa per stringere la mano ai fedeli, i quali – d’obbligo – dicono quasi sempre: “Oh, fantastico sermone!”. Per evitare di far dire bugie ai fedeli, scappo in sagrestia, tolgo i paramenti sacri e mi ritiro nel parco del Seminario, sotto un’immensa croce di pietra. Mi prostro per terra, come Cristo nel Getzemani.

Dopo neppure un quarto d’ora, arriva un bambino Yoruba, di circa otto anni. Mi saluta e: “Padre – mi bisbiglia con delicatezza – lei è molto bravo, ma io non ho capito chi è lo Spirito Santo”. Dico a me stesso: “Come volevasi dimostrare!”. Ma non mi scoraggio, invoco il Paraclito e chiedo al ragazzino: “Tu hai un papà? E gli vuoi bene?”. “Yes, father!”. “Hai una mamma? E le vuoi bene?”. “Yes, father!”. E vado avanti interrogandolo sul suo amore verso i fratelli, sorelle, nonni, amici… Accertatomi che egli voglia bene a tutti, concludo così: “Vedi, anch’io ho papà, mamma, fratelli e amici ai quali voglio tanto bene. Però, sapendo che in Africa tanti bambini soffrono la fame e non conoscono Gesù, ho lasciato papà, mamma, fratelli e amici per cercare di voler bene a tutti i bambini africani. E sai chi è stato a dirmi di fare questo? Un grande, grande mio Amico: lo Spirito Santo. Quindi lo Spirito Santo è l’amico che mi ha portato qui a cercare di volerti bene”.

“Mi aspetti un po’, padre?” mi chiede il bambino e corre verso la sua capanna. Dopo un momento torna con un Kobo ( equivalente di mezzo centesimo) e mi dice: “Questo è per te, perché mi hai insegnato chi è lo Spirito Santo”.

Passano cinque anni. Mentre mi accingo a lasciare la Nigeria (la prima espulsione) vado in chiesa e, inginocchiato davanti al tabernacolo, vedo il “ricercatore” dello Spirito Santo, ormai tredicenne. So che sta preparandosi alla cresima, perciò mi sento autorizzato a chiedergli se abbia approfondito la sua conoscenza sulla Terza Persona della Trinità. Mi risponde: “Sì, e me lo ha chiesto anche il catechista, che è un suo studente”. “E tu che cosa gli hai risposto?”. “Che lo Spirito Santo è l’amico di padre Valentino”.

Sorridono i cresimandi al racconto di questo loro collega nigeriano e mi chiedono il perché della mia espulsione. Rispondo che il tema dell’incontro vuole essere un confronto tra i cresimandi occidentali e quelli che vivono nei paesi impoveriti. Essi non hanno il problema della cravatta nera, né delle scarpe che non portano, né dei regali che nessuno loro fa. A loro basta pregare il Signore che ascolta le nostre invocazioni, quando lo Spirito Santo muove le labbra dei suoi amici per lodare il Padre.

Valentino