Ponte Nossa, 6 Marzo 2010

Solo deserto e ancora deserto

“Perché si è arrivati alla perdita di quell’orizzonte divino che renderebbe più bello e divino l’orizzonte umano e lo riscatterebbe?”. Con questa domanda termina l’intervento di Madre Daniela sul mio sito, a commento di: “Maledetto chi confida nell’uomo” e “Come un gabbiano cullato dal vento”.

Con questi due articoli, da una parte ho messo in evidenza come l’essere umano gema nello scoprire la sua nudità: il fatto di essere polvere e la coscienza del venire meno degli amici che hanno appagato il comune bisogno d’amare e di essere amati. Dall’altra ho parlato di questo pugno di polvere di stelle che, animato dal soffio divino, diventa creatore come il suo Dio, ha la possibilità di trasformare la terra, rendendola lembo di cielo ed è in volo verso l’eternità, là dove vedrà Dio faccia a faccia e sarà per sempre come Lui.

Madre Daniela mi chiede come sia stato possibile non rendersi conto che la perdita dell’orizzonte divino – la perdita del senso del sacro – impoverisce l’umana avventura. Altri mi chiedono di parlare dell’orizzonte di Dio nella coscienza individuale e collettiva. È bello per un prete essere chiamato a leggere i segni dei tempi, alla luce della fede che ovunque vado cercando: oggi nel rispondere ad una serie d’amici in crisi, domani volando sopra il Sahara ( sto partendo per il Malawi) e, terminato il corso ai preti, concedendo a me stesso il privilegio di alcuni giorni nel deserto, per purificare sempre di più il volto di Dio.

Quel Dio che qualche decennio fa sembrava morto, sepolto dall’oblio dell’uomo “evoluto”, è ancora vivo, più che mai vivo. Però, ciò che preoccupa, è la questione del volto che molti Gli attribuiscono: quale Dio si sceglie?

Mass media e “religioni” studiate a tavolino sembrano fare a gara per passare dal Dio yogurt al Dio Yoga; dallo Zeus fulminante al Dio intimistico – consolatorio; dal Dio della legge che crea l’inferno, al Dio misericordioso che salva tutti; dal Dio immagine dell’uomo, al Dio totalmente altro.

Ora le persone abituate a riflettere non si dichiarano più atee, dicono, caso mai, di essere “agnostiche”. Molti sono passati dall’ateismo all’indifferenza religiosa. Fase che già il filosofo danese Kierkegaard aveva previsto: “La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.

Tace il maestro di vita e la parola passa alla televisione dove i cuochi ci aiutano a preparare succulenti cibi e dove i commercianti ci dicono il prezzo di ogni cosa. Il prezzo, non il valore.

Molti affermano che non esistono più maestri di vita, così sono dispensati dal cercarli. Denigrano tutti e tutto, così non provano vergogna delle loro nudità. S’abbrutiscono davanti alla televisione, così non hanno il tempo per prendere in mano libri che dilaterebbero i loro orizzonti, con immagini come quelle che ci offre Bonheufer: “Dio si fa impotente e debole nel mondo e solo così ci sta a fianco e ci aiuta. Dio ci aiuta non in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua sofferenza”.

Ecco uno degli orizzonti di Dio: la debolezza che S. Paolo non esita a definire vera forza. Debolezza e sofferenza, quali ali che si irrobustiscono nel tentativo di non lasciarci schiacciare dai mali del mondo. Debolezza e sofferenza adombrati nel deserto, dove il credente si rifugia non per cercare le consolazioni di Dio, ma il Dio di ogni consolazione. Là, il Signore si rivela quale voce sottile, sottile, come fece con il profeta Elia (1Re19,12). Là, nello sconcertante silenzio.

Silenzio che si fa urlo nell’Incarnazione, punto Alfa e Omega della storia, in cui l’impotenza di Dio diventa forza di ogni nostro corpo, che Cristo fa suo per essere aiutato, venerato, adorato in ciascuno di noi. Ecco il fondersi dell’orizzonte divino con l’orizzonte umano, in questo silenzio e urlo – “L’urlo del silenzio” – che risuona nella coscienza individuale e collettiva. Dio si fa storia, si fa povero, diventa l’ultimo dei fratelli. Uomo e divinità s’incontrano non nei cieli dorati, ma nelle polverose strade delle opere e dei giorni.

Gli orizzonti di Dio: le nostre coscienze turbate e affascinate; le nostre chiese aperte sul mondo; le nostre religioni valide se fonte di crisi creative; le nostre preghiere che fondono il respiro di Dio con il respiro dell’uomo; le nostre eucaristie, celebrate su un’isola (simbolo dell’umano) lambita dalle onde dell’oceano ( simbolo del divino).

Tra tutti gli orizzonti divini, non mi stancherò mai di scegliere l’orizzonte per antonomasia, là dove più facilmente si scopre il sacro: il deserto. Orizzonte infuocato, cocente e affascinante, vivificato e vivificante, grazie a quel vento sottile, sottile, di cui si ode la voce, anche se non si sa da dove venga e dove vada.

Lì Dio tace, perché io parli.

Si fa debole, perché io divenga forte.

Si nasconde, perché io mi riveli Dio, alla continua ricerca del suo volto.

Valentino