Ponte Nossa, 18 Gennaio 2010

Per disarmare l'odio perdonando

Un’immensa folla, composta da Kosovari, Albanesi e Serbi, partecipa al rito di riconciliazione. Tre gruppi collocati su colline adiacenti. Il primo gruppo, al centro, è costituito da guide e autorità di diverse religioni; il secondo dalla famiglia estesa che ha subito un omicidio; il terzo dalla famiglia estesa dell’assassino. Dal gruppo che ha subito un’offesa, si avvicina ai leader religiosi la madre dell’ucciso, tenendo in mano un pane bianco. Dall’altro gruppo l’assassino raggiunge la donna con un coltello in mano. Incidendosi il braccio, intride il pane con alcune gocce del suo sangue. La madre mangia questo pane, abbraccia l’assassino, e con quel gesto non solo lo perdona, ma lo adotta come figlio. Immenso il tripudio di gioia del terzo protagonista: il popolo partecipe.

1275 casi di riconciliazione e di perdono sono registrati nella storia recente del Kosovo. Uno dei più meritevoli protagonisti di questa opera di riconciliazione è il vescovo martire Nike Prela, del quale scrivo, con sofferta gioia – si tratta di un amico – per rispondere a quanti mi hanno interpellato, in seguito all’articolo scritto su Luftare e il Kosovo. Mi limito alla sua esperienza in carcere, sotto il regime comunista della ex Iugoslavia.

Nike trascorse in carcere complessivamente nove anni, vittima di varie torture. A volte in cella con quindici, venti persone, senza letto. Spesso il cibo consisteva in pane e acqua. A volte era recluso in una cella di due metri quadrati per due, senza finestra, da solo o “in compagnia” di un prigioniero scelto con il criterio di una antipatia da parte dell’uno o dell’altro. Il pane buttato per terra, tra gli escrementi. Da quella cella era richiamato ogni sabato mattina, con la minaccia della fucilazione: per diverse ore stava sotto il plotone d’esecuzione, con l’accusa che egli tentasse d’indottrinare gli altri carcerati e di essere una spia.

Veniva trasportato da una parte all’altra del carcere con occhi bendati, mentre egli pregava Cristo, perché Lui e Lui solo fosse la sua vera luce e la forza d’amare i persecutori. Ciò gli dava la gioia di sentirsi appartenere esclusivamente al Signore. E quand’era legato mani e piedi, pensava quanto egli fosse fortunato, perché era ancora in vita, mentre Gesù era stato messo in croce.

Ogni tanto veniva a trovarlo sua madre, per portagli un po’ di cibo e qualche vestito. Una volta Nike stava pulendo una fossa biologica, in un giorno freddissimo, tra la pioggia e la neve, ricoperto di stracci. Gli venne detto che c’era sua madre. Egli non avrebbe voluto essere visto da lei in quello stato tanto umiliante. Ma gli sguardi di madre e figlio s’incrociarono. “In quel momento, nello sguardo di mia madre, ho rivissuto l’incontro tra Maria e Gesù sulla via del Calvario. E ho capito quanto avrà sofferto la Madre … Le due madri!”. Sua madre, per pudore abbassò lo sguardo. Non lo salutò neppure. E se ne andò, con il suo carico di dolore, lasciando alle guardie quanto aveva portato per il figlio.
La mamma, più tardi, confesserà a Nike: “In quel momento ebbi la sensazione che tu fosse Gesù e io, Maria. E in quello sguardo, dicendo nulla, ci siamo detto tutto”.

Tra le atroci sofferenze del carcere, Prela fu di grande conforto morale e spirituale per tutti i carcerati che, quando venivano condannati a morte, gli chiedevano di pregare per loro e per le loro famiglie. Ed egli non cessava mai di pregare, non tanto per parenti, amici e benefattori, ma soprattutto per i nemici, perché “quelli che ci odiano ci fanno assomigliare sempre più a Gesù. Dobbiamo ringraziare quelli che ci fanno del male, perché questo “grazie “ penetra direttamente nel cuore di Dio”.

Era convinto che dolore e sacrificio avessero un preciso senso, facilmente colto dall’uomo di fede, come disse a Madre Teresa, quando gli fece visita nel 1980: “Abbiamo tutti un cammino da percorrere: il sacrificio e la croce di Cristo, accompagnato dall’amore, senza del quale il dolore ci distrugge e rende schiavi … Il venerdì santo non è l’ultima parola di Cristo. L’ultima parola è pasqua”.
E di Madre Teresa, lei pure Kosovara, parlerò nel prossimo articolo, mentre abbozzerò alcuni “doni” utili per vivere intensamente questo mese di gennaio, dedicato alla pace. Doni ricevuti da questi martiri dei nostri tempi. Martiri della carità, per un mondo di pace.

Valentino