Ponte Nossa, 3 Dicembre 2009

«Abbiamo sbagliato tutto»

«Reverendo, non viene a bere un caffè?», così, piacevolmente, dalla sua baita, in montagna, mi interpella un contadino, mentre sto contemplando i pascoli dove, d’estate, mio nonno e mio padre facevano pascolare le mucche. Mi siedo accanto al camino mentre il mio ospite parla: «Ho ascoltato la sua intervista alla televisione sui giovani e ho sentito il suo dolore nel vedere che non vanno più in chiesa, si buttano via e aspettano il panettone per Natale: il panettone, non nostro Signore». «E menomale – aggiungo subito – che quando ero intervistato non avevo ancora sentito quanto hanno detto ieri al telegiornale sul secondo canale. Un giovane affermava che a vedere una partita di football , in cui gioca il suo idolo, gode di più di quando fa l’amore». «Poveretti – commenta il contadino – li abbiamo castrati anche in quel campo. Non è colpa loro. La nostra generazione ha sbagliato tutto: ha dato loro il benessere materiale e ha causato in loro il malessere morale».

E inizia una lunga requisitoria contro la nostra generazione. Lo ascolto mentre guardo il fuoco scoppiettante. Mi accorgo che non vuole risposte. Ha solo bisogno di sfogarsi. E non mi disturba nel mio lungo silenzio, animato da una inquietante tentazione: «Se non fossi diventato prete, avrei potuto vivere io, qui, in questa baita, circondato da figli e nipoti… Con una donna che mi prepara la polenta e il letto caldo. Qui, a guardare alle mucche, mungere il latte e fare il formaggio, felice di quel vivere semplice e beato, elogiato da Cristo e da S. Francesco. Qui, accanto alla fiamma, a pensare al roveto ardente e a scrivere poesie e storie per i nipoti e pronipoti… E non essere tanto preoccupato per l’Africa e per i giovani italiani che non sanno cosa provi un prete che per loro studia, scrive, piange».

Forse il mio prolungato silenzio lascia trapelare una velata tristezza che induce il contadino ad offrirmi un bicchiere di grappa. Gli dico che passerò al ritorno: per il momento voglio iniziare l’avvento salendo ancora un po’ la montagna e ascoltare il più eloquente dei Silenzi.

Fa freddo. Mi riparo nel cavo di una roccia. Scelgo come mantra: «Vieni, Signore Gesù». E lo ripeto fino a quando tutti i pensieri stupidi sono svaniti e il cuore è disposto ad ascoltare e vedere e interpretare i segni dei tempi.

Nel fondo valle vedo uccelli , probabilmente corvi, volare in gruppo, con monotoni giri su se stessi. E penso al Carducci: «Stormi d’uccelli neri/ come esuli pensieri/nel vespro migrar». Poi, sopra il mio capo, ecco una bellissima aquila, che sta ammaestrando al volo i suoi tre piccolini. Lei, imperterrita, con le ali distese, si lascia cullare e trasportare dal vento, mentre le sue creature si affannano, goffamente, a starle accanto. Sopra, sotto, al lato. Allievi indisciplinati, forse più desiderosi del cibo che di apprendere l’arte del volo.

Ed ecco la tragedia: un piccolo si allontana. Emette gemiti. Perde l’orientamento. Volteggia su se stesso senza alcun controllo. E lo sparviero se lo porta via.

S’accorge l’anziano contadino che ho pianto. Mi dice che m’aspettava per mangiare una fetta di polenta e latte, mentre ormai erano già le tre del pomeriggio. E quando gli racconto quanto ho visto, pensa subito ai giovani: ribadisce che la nostra generazione ha sbagliato tutto, non è stata maestra di vita e ha insinuato nei figli e nipoti il sospetto verso il maestro di vita e ha insegnato il pazzo slogan del fai da te.

Non vuole, comunque terminare l’incontro con commenti negativi e mi chiede che cosa possa fare per trascorrere bene l’avvento. Gli suggerisco tre immagini: una notte in preghiera perché i giovani aspettino Cristo, prima del panettone, a natale. Un desiderio da coltivare qui in terra, con la certezza che il paradiso sarà quel desiderio reso eterno. E un invito a bere il caffè ad una persona poco simpatica.

Sorridendo, argutamente «Reverendo, per lei la porta è sempre aperta».

Valentino