Un corpo a corpo con Dio. Lotta e contemplazione
Con il suo capolavoro, “Le Confessioni”, S. Agostino rilegge la sua vita alla luce della lode al Signore per tutti i doni ricevuti in ogni fase della sua esistenza, pure quella caratterizzata da momenti di debolezza e di peccato. Tutto, infatti, si è trasformato in grazia per lui che incessantemente ha cercato “la verità antica e sempre nuova”. Sulle orme del grande vescovo di Ippona, pure io cerco di rileggere la mia vita, – ricorrendo al metodo della “teologia narrativa” – con lo scopo di far risaltare l’importanza della preghiera per dare un senso e un gusto alla vita, inondata dalla divina misericordia.
Già nei libri “I volti di Dio” e “Non si muore si nasce due volte”, ho raccontato, in modo autobiografico, prima la mia esperienza di fede, poi il mio tremendo e affascinante familiarizzare con la morte. Ora rifaccio il mio cammino di credente alla luce della preghiera vissuta come una lotta, un corpo a corpo con Dio.
Prendo lo spunto dalla notte in cui Giacobbe, in fuga dal fratello Esaù, lottò con il Signore. Lotta che umanizzò Dio e divinizzò il Patriarca. Lotta nella quale l’Altissimo vinse barando, dando un pugno all’anca di Giacobbe, per fargli capire che è opportuno lasciar vincere l’Onnipotente…
Partendo da questa intuizione ho scritto pagine nelle quali non mi vergogno di rivelare i miei limiti e le mie fatiche che mi hanno portato più volte nel deserto, per fare della solitudine e dello “sconcertante silenzio” motivi per gridare il mio bisogno di una presenza. Presenza che illumina la notte del dubbio e crea una strada nel deserto.
Al racconto autobiografico fa seguito l’allegoria di un soggiorno in un castello, in cui le varie stanze sono predisposte in modo da preparare il visitatore all’incontro con l’Ospite, immagine del Padre.
Parlo poi dell’importanza del silenzio, dell’ascolto, dell’invocazione per arrivare alla preghiera per antonomasia il Padre Nostro: “Osiamo dire: ‘Abbà-Papà’”. All’esegesi della preghiera insegnata da Gesù accosto la descrizione del modo in cui Cristo pregava, dal battesimo nel fiume Giordano fino all’agonia, culminante nel grido: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”, per mostrare che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà.
Negli ultimi capitoli, dopo aver presentato la preghiera come l’arte di mandare e ricevere onde d’amore, racconto esperienze in cui ho percepito Dio: nei monasteri, nei riti dei mussulmani, nelle liturgie degli ortodossi, nell’urlo disperato di una madre che perde il figlio, nel primo bacio di due innamorati, nella percezione di sentirmi unito a tutti gli oranti della terra.
L’ultimo capitolo mostra come la speranza sia il volto più radioso e credibile di colui che prega.
La conclusione è un inno al deserto dove Dio ci chiama per purificarci e per fare l’amore con lui. Deserto che la preghiera fa fiorire.