Ponte Nossa, 6 Settembre 2009

Ma quando la notte passa nel giorno

La sapienza orientale si basa sulla soluzione di enigmi e su provocazioni atte a svegliare chi prende tutto per scontato e non dà un peso alle cose, né s’interroga sui valori che rendono interessante la vita. Al maestro che pone ai discepoli la domanda quale sia il momento preciso in cui la notte scivola nel giorno, vengono date tante risposte inadeguate. Tocca a lui, allora pronunciarsi: “Quando, incontrando un uomo, lo vedi come fratello. Quando, incontrando una donna, la vedi come sorella”.
Il motto di Paolo VI era: “Ogni uomo è mio fratello”. La sintesi dell’enciclica “Caritas in veritate” è proprio questa: il mondo andrà meglio quando gli esseri umani si considereranno non uno giustapposto all’altro, né solo come “prossimi”, ma come familiari, come figli di uno stesso Padre, come fratelli.
Sviluppai questa idea negli incontri di formazione al clero sudafricano, al quale dovevo parlare della Chiesa e del celibato. Che cosa è la Chiesa se non il Cristo vivente oggi in ciascuno di noi? E per chi è possibile il celibato se non per chi – innamorato di Dio – sente ogni persona come parte di se stesso, per cui sviluppa un forte senso di fratellanza e di paternità nei confronti di quanti incontra nel suo apostolato?
Ho sentito forte il senso di paternità battezzando i figli di due coppie di amici di lunghissima data. Nel primo caso, quando passai alla mia amica la sua creatura – dopo avere concluso il rito battesimale, benedicendo il pubblico con il neobattezzato – ella lo baciò teneramente, sussurrando , con la lacrime agli occhi: “Adesso sì. Adesso sì!”. Era figlio di Dio anche prima del battesimo, ma in quel momento io le mettevo in mano non un cristiano, ma Cristo. E io facevo da tramite, tra cielo e terra.
Nel secondo caso, dopo aver battezzato il figlio dei due amici, chiesi ai partecipanti di rivivere il battesimo, permettendomi di inondare la loro fronte con l’acqua del fonte battesimale. Essendo il rito inserito nelle messa festiva, molta gente si alternava davanti a me. Mi parve interminabile il tempo impiegato in questo rito: s’incontravano sguardi di persone amiche, sguardi di fedeli che s’aspettavano più di qualche cosa da quel sacramentale, sguardi perplessi, confidenti, invocanti misericordia.
E di tutti mi sentivo padre e fratello.
Gli sguardi degli amici suggellavano una complicità in cui il non detto esprimeva la mia accettazione di restare sostanzialmente solo: quello che ho dato ho dato. Un padre non trattiene per sé i figli, ma è contento di buttarli nella vita, perche essi rendano personale quanto era stato condiviso, per pura grazia.
Gli sguardi dei conoscenti racchiudevano un messaggio: “ Non credere che le gioie della vita vengano soprattutto tra le persone. Dio le ha messe tutte intorno a noi. Sono ovunque. In tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose…”. Un invito a non aggrapparsi al prete che passa nella parrocchia e riscuote un momento di simpatica accoglienza. Il divino va cercato nel quotidiano alzare le mani al cielo e nella fedeltà all’eucaristia domenicale, indipendentemente dal celebrante.
Gli sguardi di persone che, “convinte di non meritare amore, si allontanano in silenzio dentro spazi vuoti” e gli sguardi invocanti ulteriori segni per fidarsi totalmente di Dio, ricevettero una risposta nell’omelia, durante la quale commentai la frase di Cristo – prima della moltiplicazione dei pani dei pesci – : “Date voi stessi da mangiare alla folla”. Hai fame tu? Non aspettarti miracoli dall’alto. Operali tu stesso. Convinci la gente a condividere quanto possiede. Convincila a sentire come sua la fame degli altri. Aiutala a vedere ogni essere umano come fratello, allora tutti potranno essere sazi – di beni materiali e spirituali – e, una volta sfamati i presenti, ne avanzeranno dodici ceste.
La notte si convertirà in giorno,quando l’essere umano non sarà più visto come un fardello, ma come un fratello.

Valentino