Ponte Nossa, 29 Agosto 2009

La scimmia non c'è più, ma l'uomo...

Lentamente, il trenino della Val Sesia mi sta conducendo verso Novara. Sono solo nella carrozza. Mi sembra un sogno: posso pregare, studiare, contemplare. Ma l’iniziale idillio dura poco. La pace è interrotta da due chiassosi adolescenti che comunicano tra loro mentre ascoltano una martellante musica con l’auricolare e mandano messaggini a raffica. Nella stazione successiva salgono altri due amici. E che delusione per il mancato appuntamento con altri due, alla terza fermata. Dai discorsi, infarciti di parolacce volgari, capisco la loro vita e il programma del giorno dopo: alzata a mezzogiorno, treno alle tredici, cercare di “beccare qualcuna” in piscina, ritrovo in discoteca … con la seccatura di dover rincasare alle tre di notte, perché la mamma (classificata con una parola volgare e giudicata paranoica) non riesce a dormire finché il figlio non è rincasato. Età: quattordici o sedici anni. Professione: costretti ad essere studenti, contenti di frequentare la scuola non per imparare le “stupidate” dei professori, ma per “socializzare”. Sogni: avere tanto tempo da condividere tra di loro, i sei amici.

Una bestemmia sfuggita ad uno di loro è l’occasione per il mio intervento. Ma – incredibile a dirsi! – non mi vedono, né mi sentono. Atteggiamento che mi rimanda a quanto mi diceva, con amarezza, un mio ex alunno riguardo al figlio adolescente: “Io per lui non esisto, se non per la “paghetta” settimanale. Lui ha Giorgio. Pensa solo a lui. Passa tutto il tempo libero con lui. Se voglio parlare con mio figlio devo parlare di Giorgio, dei suoi interessi, della squadra cui tiene, dei vestiti che indossa”.

Non visto e non sentito, non demordo: ho il breviario aperto sulle ginocchia e gli occhi puntati su di loro. Finché un barlume d’umanità sfiora uno dei quattro adolescenti: “Facciamo troppo casino?”. “Sono contento che te ne sei accorto”. “Ma perché ci guarda con la faccia preoccupata?”. “Ti ringrazio che hai notato la mia tristezza. Mi preoccupa la vostra generazione. Non è colpa tutta vostra … La società vi ha rubato la fede, l’intelligenza e il corpo”. Ora tutti e quattro mi guardano, incuriositi da queste tre parole, soprattutto l’ultima. “Perché il corpo?”. E sul corpo nasce una discussione, dalla quale comprendono che la scimmia non esiste più – gli esseri umani hanno perso qualche pelo – ma l’ “uomo” non esiste ancora.

E come far sì che l’uomo nasca?

Vorrei loro dire di non prendere nulla per scontato; di non guardare solo al presente, ma di vedersi proiettati in un futuro che sarà bello se ora seminano qualche cosa; di provare una sana indignazione che li porti a prendere possesso del loro corpo, della loro fede e della loro intelligenza.

Ed ecco – ironia delle cose! – sopra la loro testa campeggia una scritta a mano, tra due svastiche: “E’ troppo tardi per essere calmi”.

Adesso che il discorso comincia ad essere coinvolgente, il trenino della Val Sesia arriva a Novara. Devo correre per prendere la coincidenza per Milano, non senza un abbraccio all’adolescente che si era accorto della mia tristezza. Sul tratto Novara-Milano un mio collega mi pone tante domande sul pensiero del “Vaticano” riguardo alcune scottanti situazioni attuali. Rispondo lapidariamente, perché voglio sapere da lui quello che la Chiesa fa per i giovani, in Piemonte. Lapidaria anche la sua risposta: “Mette cerotti sulla gamba di legno”.

E il pensiero va a S. Tommaso: “La grazia presuppone la natura”. Natura che dal Cristianesimo può essere redenta, nobilizzata e divinizzata. Adesso. Perché non è ancora troppo tardi per rinverdire le radici cristiane dell’Europa e così salvare fede, intelligenza e corpo.

Valentino