Durban(Sudafrica), 12 Luglio 2009

Il tuo volto Signore io cerco

“Cercare ciò che ci unisce”. Questa la grande intuizione che ha reso bella la vita di Giovanni XXIII e grande il suo pontificato. Ci unisce il bisogno d’amare e di essere amati, la nostalgia di Dio, l’aspirazione a cercare la pace qui, in terra, per poi goderla, eternamente, in cielo.
Sorretto dall’esempio di questo mio grande conterraneo, decido di trascorrere l’ultima domenica in Durban celebrando l’eucarestia nella cattedrale, attendendo alla preghiera islamica di mezzogiorno in una grande moschea e passando tutto il pomeriggio nel tempio di Hare Krishna.
Prego con i cattolici. Non provo nessuna emozione stando con i musulmani. Mi immergo totalmente nel mondo dei credenti in Hare Krishna, introdotto alla loro preghiera domenicale da un trentenne che avevo precedentemente conosciuto.
Il fascino di questa esperienza, probabilmente sta anche nel fatto di essere venuto a conoscenza della vita di questo giovane. Nato in India, soffrì molto quando il papà fu costretto a lasciare il paese per cercare lavoro in Sud Africa: l’eterno doloroso problema delle migrazioni … Quando aveva dieci anni, con la morte di sua mamma, cominciò una vita senza fissa dimora, senza principi etici, soprattutto senza Dio.
Verso i venti anni suo padre gli mandò a dire che era molto malato e avrebbe tanto desiderato passare gli ultimi giorni della sua vita accanto a lui. Fu così che arrivò un Sud Africa e assistette il padre, riguadagnando quell’affetto del quale aveva tanto sentito la mancanza. E quando ormai aveva sperimentato il gusto di avere un genitore, questo morì aumentando in lui il senso dell’insignificanza assoluta di questa esistenza.
Si diede alla droga e cercò fatue gratificazioni con donne, disposte a pagarlo pur di passare una notte con lui, il bello ombroso.
Ma un giorno un suo cugino amorevolmente lo provocò: “È stato vano quel periodo trascorso accanto a tuo padre? È concepibile che il suo spirito sia scomparso nel nulla?”. Lo introdusse nel mondo spirituale di Hare Krishna, dell’energia universale, del Dio che ci crea creatori, del nostro spirito che si purifica passando da una reincarnazione all’altra, del bisogno di essere non violenti, vegetariani, innamorati di tutto quello che esiste, vive, respira e ama… Partecipò alla preghiera domenicale che si concluse con un frugale pasto comunitario. E si convertì. Cambiò radicalmente vita. Intelligente com’era, presto ottenne un buon posto di lavoro, dove poteva guadagnare un buon salario.
Ma approfondendo sempre di più la sua vita interiore, si pose il problema dell’uso dei soldi. Gli bastava cantare incessantemente: “Hare Krishma HareKrishma./ Hare Rama Hare Rama/ Rama Rama Hare Hare”.
Si licenziò. Andò a vivere presso il cugino con il quale sta progettando una fattoria, un “bed and breakfast”, per ospitare quanti sentono il bisogno di vivere un periodo di spiritualità. Naturalmente … offerta libera!
Nel tempio di Hare Krishma ammiro gracili corpi, avvolti in vestiti di seta gialla, rosa, arancione, con veli rossi. Corpi diafani. Visi sereni e belli. Facce sorridenti. Inchini. Prostrazioni. E tante, tante danze, al ritmo delle mistiche musiche orientali.
La preghiera consiste nella lode, perché Dio sa già ciò di cui abbiamo bisogno. La lode, dopo la diretta confessione a Dio dei propri peccati. Innumerevoli peccati, anche involontari: i fedeli chiedono perdono per quegli animaletti che per caso hanno schiacciato mentre ci si recavano al tempio …
Passo molto tempo del pomeriggio tormentando i miei interlocutori sul tema della reincarnazione, non solo filosoficamente inaccettabile e contraddittoria, ma anche fonte di tristezza: che brutto pensare di dover ricominciare la vita in un animale, per espiare i peccati della precedente vita!
Non insisto sull’opportunità o meno di essere vegetariani, specialmente dopo aver visto un quadro raffigurante un uomo con la faccia di mucca, mentre sgozza una mucca, con la faccia di uomo, inginocchiata con occhi invocati pietà.
E mentre quel giovane indiano mi porta verso la mia residenza, gli chiedo che cosa gli impedisca di farsi prete della sua religione. Interessante la risposta: “Vede, padre, non voglio sposarmi perché non sono pronto ad avere un figlio, al quale dovrei dare tutto senza aspettarmi niente. Voglio rimanere celibe e scontare i tanti peccati che ho fatto, per non dovermi reincarnare in un maiale. Mi piacerebbe molto essere prete, ma non ne sono per nulla degno”.
Mentre si allontana, diretto verso la sua fattoria, alla periferia di Durban, dopo aver constatato quanti elementi in comune hanno tante religioni, lodo il Signore per la bellezza del Cristianesimo. Non c’è bisogno di reincarnazione, basta una confessione. Non c’è bisogno di tormentarsi per cercare Dio: è lui a cercare noi. Non c’è bisogno di aspirare al martirio, perché Cristo è morto per noi e, risorto, ci ha preparato un posto nel suo regno, dove la danza non avrà più fine.

Valentino