Durban(Sudafrica), 9 Luglio 2009

“Glorificate Dio nel vostro corpo”

La luna piena non cancella la Croce del Sud sopra il mio capo, in questa interminabile notte a Durban. Alle sei del pomeriggio, appena scompare il sole, subito la tenebra avvolge ogni cosa nell’agognata pace. Pace velata da una tenue nostalgia che cerco di sconfiggere studiando la nuova enciclica «Caritas in veritate» e trasformando in preghiera i ricordi di tante persone a me care. Avevo loro parlato di Dio. Adesso parlo a Dio di ciscuno di loro.
Tra i ricordi…
Aveva cinque anni quando iniziò a servire la messa. Serio. Attento a tutto. Un po’ amareggiato quando gli altri ragazzi non gli permettevano di suonare il campanello al momento dell’elevazione. Pronto a rimproverare quei chierichetti che si permettevano alcune licenze sull’altare: “Non si scherza con il Signore!”.
La vigilia della prima comunione aveva scritto una lettera a Gesù. Voleva imitare S. Domenico Savio: “La morte ma non peccato”. Visse molto bene anche la cresima, col desiderio di essere “soldato di Cristo”. Mi aveva confidato che voleva diventare prete. Sogno stroncato dalla mamma: «Tu vuoi imitare Valentino, più che Gesù».
La pubertà e l’adolescenza scatenarono nel suo corpo una ‘tempesta ormonale’ così forte da indurlo a sentirsi un peccatore, con desideri di cielo, ma con pulsioni troppo terrene. Non accettò il suo corpo. Non sperimentò il meglio del pensiero della Chiesa sulla corporeità. Smise di andare a messa, seguendo i consigli dei suoi amici. Si rassegnò a vivere senza Dio.
All’università di Trieste, un docente, fin dalla prima lezione – così mi disse – cercò di “illuminare” gli studenti sulla realtà che Dio era una invenzione dei preti per tenere schiava la gente. Anche questo fu un brutto colpo inferto al suo segreto desiderio di continuare a cercare Dio.
E arrivò alla laurea con pieni voti, ma con il cuore vuoto. Soprattutto, senza quel Cristo, per la cui sofferenza sulla croce aveva pianto, da ragazzo.
Dopo anni – per caso? – s’imbatte nella videointervista sul mio sito:«Amicizia, palestra dell’amore» e sente il bisogno di scrivermi: « Poiché ancora ti voglio bene, permettimi di dirti che non mi piace vederti vestito da prete. Non hai forse scritto che essere prete non vuol dire mettersi una divisa fuori ma un tormento dentro? Il tormento di non riuscire a farci innamorare di Dio. Certo che non ci riesci: non c‘è! Mi chiedo quindi perché ti ostini a dire che, amando, lo trovi? Perché affermi che senza di Lui è più difficile amare e mantenersi fedele nel matrimonio? Smettila di parlare di Dio. Non mi hai insegnato anche tu a non nominare il nome di Dio invano?».
Abissale la differenza tra queste parole in confronto con le frasi oggi sentite dai preti del Sud Africa: «Dio non si dimostra. Si respira». «Dio è il vento sotto le ali della colmba». «Dio è il fuoco che scopietta».
I popoli impoveriti ci insegnano che, vivendo senza valori etici, senza Dio, immersi in una cultura che esalta la prosperità, la popolarità,il potere ( le tre tentazioni sperimentate da Cristo nel deserto ) l’essere umano si condanna all’autodistruzione: non trova se stesso, la veritàdelle cose, la felicità. Non può formare una società umana e giusta, poiché privo di quella carità che solo nella verità sussiste e porta frutti d’amore. Non può sperimentare la gioia di donare, di portare serenamente i pesi degli altri, di condividere un pezzo di pane, di donare uno sguardo più eloquente di mille parole d’amore.
In questa lunga notte tropicale mi chiedo: «Perché quel mio amico ha abbandonato quella strada che da ragazzo percorreva con serenità, con gioia, anzi, con entusisamo?».
Non ho potuto seguirlo molto da adolescente, perché ero prevalentemente all’estero. I cristiani l’hanno deluso? I preti non l’hanno convinto? La società gli ha rubato il corpo dandogli un’educazione troppo negativa sulla sessualita’ o troppo permissiva per cui, caduto nel relativismo, ha messo tutto in discussione, a comnciare da Dio?
Se noi, preti, assieme a tanti cristiani, l’abbiamo deluso, potrebbe rifarsi il sangue , ritornare a vivere in modo dignitoso, anzi bello, se – con il Vangelo alla mano – approdasse a quella misericordia fondata su alcuni principi:
Io sbaglio, ma non sono il mio peccato;
Se voglio fare il santo subito, faccio la bestia;
Devo vincere quella forma di narcisismo che mi impedisce di vedere in ciascuno di noi la presenza di tutti i vizi capitali, con uno predominante;
Ammetto con serenità che i miei vizi sono virtù portate all’eccesso;
Rinasco non brancolando alla ricerca di spiritualità orientali, ma tornando all’inesauribile ricchezza del discorso della montagna: la follia delle beatitudini;
Mi sforzo di crescere nell’essere, anziché frantumarmi nel fare;
Rivaluto le cose semplici, provando gusto a danzare attorno al fuoco, sotto la luna piena.
Danzare… Da lontano mi arriva insistente l’eco dei tamburi. Al loro ritmo gli Africani s’abbandonano a sfrenate danze, al chiarore della luna piena. Si scaldano attorno al fuoco. S’addormentano gli uni accanto agli altri, contenti di glorificare Dio nei loro corpi.

Valentino