Ponte Nossa, 2 Marzo 2009

Solo, in attesa di risorgere

Non per colpa sua, ma per il veleno instillatogli – involontariamente- dai suoi genitori, con i loro continui litigi, il suo cuore era diventato un groviglio di vipere. Il suo animo, assetato di valori eterni, si era inaridito, paragonabile a una steppa selvaggia: non aveva trovato chi gli offrisse l’acqua pura della liberante verità. Nella difficoltà di comunicare anche con i suoi coetanei, si era creato nello studio un rifugio che presto, però, aveva rivelato i volti deludenti di una società ubriaca di esteriorità, ebbra dei suoi consumi, ingannevole nelle sue promesse.

Una sera, al computer, s’imbatté nel “You tube” dal titolo: “Lui… Amante, Amato, Amore. E tu?”. Mi vide gesticolare con un certo entusiasmo. Si sentì provocato dalle parole che gli fecero supporre: “Sembrerebbe quasi che ci creda”… Coricandosi, cominciò a pensare che non dovrebbe esserci molto da perdere a cercare una fede, qualora questa aiutasse a vivere. Finché s’insinuò il dubbio: “E se avesse ragione?”.

M’inviò una e mail: “Ho visto il suo sito. Ho sentito come parla. E sarei curioso di scambiare quattro parole con lei, purché non mi parli da prete. Non ho bisogno di prediche, ma di uno che mi ascolti, sia schietto nel parlare e non mi faccia la morale, ma al massimo mi dica quello che direbbe Cristo. Non m’interessano quelli che hanno tutte le risposte, ma quelli che cercano il senso di questa vita”.

Grazie a “Skype” fu semplice comunicare con lui, guardandolo negli occhi. A lui non interessava il mio passato, ma solo la mia eventuale capacità di dargli speranza per il presente. Lo lasciai parlare a lungo. Quando cominciò a criticare la Chiesa, con i soliti stereotipi alimentati dai mass media, capii che questa istituzione gli stava a cuore quale mezzo per fare luce su Dio Padre, per conoscere di più Cristo e per vedere se essa avesse una risposta più sensata di quello che la società gli andava proponendo sul senso della vita.

Lo stupiva il mio silenzio. Forse si aspettava un giudizio su quanto mi diceva. Gli piacque l’intuizione di S. Agostino: “Ama e capirai”. E chiese d’incontrarmi.

Venne con l’ aspettativa di stare a lungo con me. Aspettativa che non potevo soddisfare, ma alla quale diedi un’alternativa: ritirarsi in alta montagna, per un periodo prolungato nella casa di un mio amico, disponibile ad ospitarlo, rispettando i suoi bisogni di pace interiore.

Gli proposi di lasciarsi curare dal silenzio, dalla bellezza e dalla notte, citando – in risposta alla sua richiesta di parlargli come Gesù – il Vangelo: “Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano, non filano. Eppure vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro” (Mt 6, 28-29).
I gigli del campo, fiori che, purtroppo, spesso vivono un solo giorno. Al mattino sono belli, rigogliosi e pieni di vita a mezzogiorno e a sera, molte volte, sono già falciati.

La bellezza commoveva Gesù e lo portava a compiere miracoli per ridare armonia alla natura, perché ogni uomo ha il diritto di vedere, di udire, di muoversi, di vivere in pace con tutto il creato. Egli passava le notti in preghiera, si ritira nel silenzio a cercare il Padre e a scoprire la sua volontà. Si ritirava negli sconcertanti silenzi della natura per sottrarsi all’entusiasmo cieco della folla e per far comprendere che le grandi cose sono alla portata di tutti, perché tutti – purché abbiano fede – possono fare miracoli. Come quello di curare le proprie ferite, perdonando i genitori, essi stessi vittime di sbagli altrui.

Dopo un mese di ritiro sui monti, andai a trovarlo. Si sforzò di prepararmi il miglior cibo possibile, con risultati un po’ deludenti… Non riusciva ad esprimersi, ma era visibilmente contento e desideroso di far partecipi altre persone di una felicità che è tale solo se condivisa.

Lo invitai a concedere ancora a se stesso il privilegio di altri dieci giorni di silenzio, durante i quali avrebbe dovuto mettere a fuoco l’idea di diventare un “guaritore ferito”, come Cristo. Sanare gli altri con le sue ferite. E trovare le parole giuste per convincere altre persone a immergersi nel silenzio della notte, a sentire pian piano il tempo che scorre e ad attendere un segno dal cielo. Vivere la bellezza del silenzio, della montagna e della notte, tempo in cui si fanno più vive le nostalgie, si acuiscono le tentazioni e si avverte sempre più forte il bisogno di una Presenza.

Non so quali saranno i risultati di questa esperienza: ho già vissuto abbastanza per non aspettarmi nulla, ma semplicemente provare l’ebbrezza della semina. Non ho la pretesa di convincere la gente che incontro, ma so che ho la responsabilità di testimoniare la mia fede. Testimoniare che, dopo una notte vissuta con il cuore in ascolto, si avverte un senso di rinascita, di purezza, di resurrezione. C‘è il desiderio di esporsi al sole e di lasciare che esso ci rigeneri. Col sole torna la voglia di innalzare un inno alla vita, stupendo dono anche quando messa alla prova dal dolore, dalla solitudine, dalla momentanea perdita di senso.

Il silenzio, il sole, la bellezza, la notte curano le nostre ferite, quando, sulle orme di Cristo, concediamo a noi stessi il privilegio di ritirarci in un luogo appartato, per quaranta giorni, confrontandoci con “l’urlo del Silenzio”, nell’attesa che prorompa nel canto della resurrezione.

Valentino