Roma, 24 Febbraio 2009

Folata di coriandoli, polvere e ricordi

Non riesco a prendere sonno questa notte qui, a Roma, nel seminario in cui feci i miei studi, dopo l’ordinazione presbiterale: non c’è nessuno degli amici di un tempo. Mi avvio verso i Fori Imperiali, oltre il Colosseo, sulla via Sacra, là dove posso contemplare gli archi di Tito e di Costantino: secoli di storia, tutta per me, perché ora nessuno si aggira in quei paraggi.
Una folata di vento porta con sé quei coriandoli che furono profusi in grande abbondanza durante il giorno, animato dalle maschere del carnevale. Coriandoli che danno un senso di tristezza quando, finita la festa, stanno lì a testimoniare la vanità del tutto e l’inconsistenza della convinzione che “è lecito impazzire una volta all’anno”. Il cristiano è “ pazzo” 365 giorni all’anno, se vive sanamente la follia evangelica.
Un’altra folata di vento porta con sé polvere. Granelli di polvere che si staccano dalle antiche rovine dei palazzi imperiale e dei monumenti che da oltre duemila anni mostrano al turista la vanità degli imperi che crollano con il decadere dei costumi, quando si vive quel relativismo morale di cui facciamo pure ora esperienza.
E quella polvere, che mi flagella il volto, mi ricorda il tempo vissuto nel Sahara e nei vari deserti che “regalo” a me stesso, come mistica esperienza, dopo gli incontri formativi, nei vari paesi visitati. Il deserto, luogo privilegiato per mettere alla prova il mio cuore, scrutarne i sentimenti, vagliare i motivi del mio agire e rafforzare la fede con la domanda: “Ma Dio veramente basta a riempire la mia vita?”.
Domanda che mi martellava in testa nell’ultimo volo sopra il Sahara, di ritorno dal Gabon. Dall’aereo vedevo i luoghi della mia prima permanenza in quell’arida zona in cui mi ero ritirato, solo, con la Bibbia, per preparare il corso di esegesi del vangelo di Giovanni.
Dall’oblò contemplavo, con il cuore di Qohelet, l’opera del tempo: ha abbassato le montagne, distrutto le colline, bevuto l’acqua di tutti i fiumi, in modo da creare il regno dell’ incontrastata, immensa distesa di segatura. Arida solitudine in cui spietato risuona il ritornello: “Vanità delle vanità e tutto è vanità”.
Vanità. In ebraico: “evel” o “ebel”, che significa contemporaneamente respiro, sospiro, rugiada, scia della nave sul mare. Ma anche “Abele”, ammazzato dal fratello perché bello, buono e gradito a Dio in quanto più debole del fratello maggiore.
“Evel”quelle infinite strade che partono dal nulla e terminano nel nulla, là dove un tempo, di duna in duna, risuonavano fecondi canti d’amore e la vita fioriva senza fine. Innamoramenti a catena, presso il pozzo dove ci si recava per attingere acqua e s’incontrava la persona d’amare. Amore di giovani e di adulti. Amore di anziani. Il cuore non invecchia, ma porta l’uomo canuto a recarsi alla sorgente pregando: “ Di te solo ha sete l’anima mia, Signore. A te anelo come cerva assetta, allo wadi. Ho sete di te, come terra arida, senz’acqua. Di te che fai fiorire il mio deserto”.
Volando sopra Agadesh, come non pensare a quel Tuareg della cui saggezza ovunque vado parlando? Oh, se avessi un paracadute… Ma orami il deserto non consce più le sue orme. Non risuona più a Tamarasset la sua voce, né più Maradi conosce i suoi amori, scomparsi col suo cavallo nel vento. Con lui se ne sarà andata la sua saggezza:”Nutriti solo di silenzio. Pianta la tenda dove c’è un amico. E a tutti dona uno sguardo d’amore”? Forse più nessuno ora lo conosce, anche se io continuo a cantare il suo silenzioso abbraccio e quella sua fede che mi indicò Dio dimorante nel mio corpo, nella mia scelta d’essere povero e nello sguardo reso sacramento.
…Folata di coriandoli, di sabbia e di ricordi. Tutto semino in me, perché fiorisca in questa quaresima, tempo di grazia: nel silenzio cercherò il volto di Dio. Nella memoria rivivrò il tempo in cui credere era una festa, per cui non chiederò nuovi segni dal cielo, ma scommetterò sulla fedeltà del Signore. Nella povertà mi svuoterò di me steso per fare degli altri la mia ricchezza. E nella purezza dello sguardo contemplerò,con quanti mi stanno accanto, l’orizzonte antico e sempre nuovo del Calvario, là dove la morte profuma di resurrezione: coriandoli e stelle filanti per una festa che non avrà mai fine.

Valentino